Coraggio, Europa

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In questa stagione difficile per tutti, l’Europa sembra non riuscire a tirare il fiato e a godersi un momento di tranquillità  . La assalgono crisi da tutte le parti: per restare solo agli ultimi tempi, chi non ricorda l’allarme per il morbo della mucca pazza, seguito a ruota dall’epidemia di aviaria, dalla minaccia dell’influenza messicana e dal ricorrente rischio della febbre suina? E adesso le è arrivato addosso anche il batterio tossico che sta mettendo in crisi il nostro mercato agro-alimentare e crea tensioni tra i Paesi dell’UE, con Spagna e Portogallo furibondi per i sospetti diffusi su di loro dalla Germania, e con tensioni internazionali, come quella tra l’Unione Europea e la Russia che, troppo prontamente, ha chiuso le frontiere alle nostre verdure.
Tutto questo sullo sfondo di una crisi finanziaria che sta mettendo sotto pressione la politica e l’opinione pubblica greca, nel timore che qualcosa di analogo possa accadere in Irlanda e in Portogallo.
Anche dove tutto sembrava filare liscio, come in Germania, i meccanismi del consenso per chi governa si stanno inceppando. Ne sa qualcosa la cancelliera Angela Merkel che ad ogni elezione regionale si becca anche lei le sue brave «sberle» e assiste al ritorno in forza dei Verdi, avviati di questo passo a diventare il secondo partito tedesco.
Sta maturando in Europa la voglia di un altro modello di sviluppo, meno drogato dall’ossessione della crescita a tutti i costi, più preoccupato dei rischi per la salute, più rispettoso dell’ambiente e attento al destino futuro del pianeta.
Si inseriscono in questo contesto la decisione della Germania di mettere fine entro il 2022 alla produzione di energia nucleare, nonostante la consapevolezza dei costi che questo comporta, e gli orientamenti analoghi di altri Paesi come l’Austria e la Svizzera.
Una dinamica simile si sta sviluppando anche in Italia e la partecipazione ai referendum di domenica prossima e il loro esito diranno se anche da noi si avrà   il coraggio di imboccare la strada difficile verso un nuovo mondo più sobrio ma anche più sicuro e al riparo da ricorrenti e giustificate paure, come ci ha ricordato la recente catastrofe nucleare giapponese, dopo avere troppo presto dimenticato quanto accaduto nell’aprile del 1986 a Tchernobyl.
Inutile nascondersi che ancora una volta l’UE si presenta divisa e incerta sul futuro della politica energetica, anche se il programma 20-20-20 resta un impegno a cui puntare con coraggio. Tre numeri cui se ne aggiunge un quarto: entro il 2020 l’UE dovrà   ridurre del 20% i consumi energetici, abbassare del 20% i gas ad effetto serra e coprire i consumi energetici con almeno il 20% di energie alternative.
Un programma che andrà   sicuramente rivisto nelle attuali condizioni economiche dell’UE e a fronte dell’abbandono in alcuni Paesi dell’energia nucleare.
Lo sforzo maggiore e immediato non potrà   che incentrarsi sul risparmio energetico, evitando dispersioni di energia ma anche modificando severamente i nostri stili di vita. L’investimento in energie alternative darà   frutti solo sul medio periodo e dovrà   fare i conti con diffuse resistenze, come già   sta avvenendo, a impianti fotovoltaici ed eolici che non abbelliscono certo i nostri paesaggi. Anche l’obiettivo della riduzione dei gas ad effetto serra andrà   rivisto in presenza di un ritorno a un’energia inquinante e costosa come quella fossile, carbone compreso.
Un sondaggio recente ha rivelato che in Italia il 61% delle persone intervistate è contrario al nucleare contro l’11% in favore e il 59% favorevole alle fonti rinnovabili. Sarebbe interessante sapere quanto l’opinione pubblica sia consapevole e pronta ad intraprendere la strada severa del risparmio energetico, quando nelle nostre case e nei nostri uffici ci siamo abituati a luci perennemente accese, a elettrodomestici in ogni angolo, a spie luminose che segnalano ovunque consumi energetici in corso e ad un’esasperazione di costosi trasporti individuali in auto.
Il rifiuto del nucleare è imposto, nelle condizioni attuali delle tecnologie utilizzate, da ragioni di sicurezza per la salute e l’ambiente, di affidabilità   di chi gestisce le centrali e per l’irrisolto problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi.
Noi che ai referendum sul nucleare votteremo «sì», dobbiamo anche sapere dire «sì» ad un nuovo modello di sviluppo traendo dalle paure del futuro coraggio – lo stesso che deve trovare anche l’UE nel suo insieme – per scelte presenti in favore di una società   sobria nei consumi e pronta a pagare il prezzo delle nuove energie alternative su cui investire adesso con determinazione, senza perdere altro tempo a voltarsi indietro, ma anche senza rinunciare ad investire sulla ricerca per un futuro «nucleare sicuro».

1 COMMENTO

  1. Lei rileva che in questa stagione il mercato agroalimentare è in crisi e l’Europa smbra essre attaccata dalle «crisi da tutte le parti». E aggiunge che si chiudono le frontiere alle nostre verdure, con tensioni tra l’Unione Europea e la Russia. Richiama, poi, lo sfondo di una crisi finanziaria (Grecia, Irlanda, Portogallo ed altri Paesi dai «sospetti diffusi»). Scenario vissuto e conosciuto che osserviamo e commentiamo e che Lei richiama sin dai tempi della..«mucca pazza». Domanda: ma le “erichettature” di origine dei prodotti freschi e trasformati non ci danna sicuerra alimentare? Io sostengo, da sempre, che sono “essenziali ma non sufficienti, pur rilevando la ferma decisione italiana nell’Unione Europea che, spero, possa essere definita con l’obbligo del produttore singolo o associato per un diritto del consumatore di conoscere non solo il luogo di produzione del prodotto fresco e da chi e come è trasformato per essere offerto certificato al consumatore in assoluta sicurezza alimentare.
    Ma la certificazione autentica e obbligatoria – complessiva e articolata – deve completarsi nelle diverse fasi, dai campi al confezionamento dei prodotti – con la descrizione di tutti i trattamenti- se eseguiti – per dare certezza su tutti i prodotti alimentari freschi o trasformati.
    E’ questo non solo a parole il meno rischioso dei monitoraggi per un «altro modello di sviluppo» come Lei auspica e che, anch’io,condivido. Si tratta di introdurre un “modello semplificato di sintesi” responsbile per la “massima conoscenza”. I produttori italiani, se sostenuti non rifiuterebbero questa tipologia di modello pubblico italiano per i consumatori europei. Perchè, con la mia modestssima attività  ptofessioinale di tecnico agrario, osservo che in una piccols comunità  olivicola che produce mediamente 13-15.000 quintali di olive – Comune di Vallecorsa nel basso Lazio – è stato avviata l’aggregazione del prodotto olive raccolte e trasformate ogni 24 ore in olio extravergine di alta qualità  certficata con marchio “VallisCurtius”. Progetto di “filiera locale” (condiviso dai produttori, sostenuto dall’Ammnistrazione comunale, proposto e ammesso a cofinanziamento dalla Regione Lazio) che avvierà  l’offerta del prodotto distintamente certificato nei primi mesi maggio 2012. Coraggio Europa, come lei auspica, ma impegno collettivo italiano nell’aggregare piccoli e medi produttori responsabili nel produrre e vendere i prodotti in sicurezza alimentare. Ecco, quindi, il modello Vallecorsa che se non è il solo o unico modello è certamento nuovo nell’aggregazione di operatori agricoli che vogliono produrre in qualità  per vendere ad equo prezzo un tipico prodotto agroalinetare, fuori da ogni “morbo o tossicità ” ma salutare per la nostra alimentazione, definita mediterranea
    Mi fermo qui e grazie per l’attenzione
    Donato Galeone

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