Copenhagen: grandi discorsi, piccoli gesti

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Per una decina di giorni, dal 7 al 18 dicembre, sono riuniti a Copenhagen i Grandi di questo mondo per rispondere alla sfida del surriscaldamento climatico che minaccia il nosto pianeta. E come si conviene ai Grandi, saranno pronunciati grandi discorsi accompagnati da promesse ancora vaghe e, si spera, da qualche primo impegno, meglio se giuridicamente – e non solo politicamente – vincolante e accompagnato da adeguate sanzioni in caso di infrazione.
Da mesi gli esperti e le lobbies guerreggiano a suon di cifre sulle dimensioni del problema e le prospettive che già   si possono intravvedere: da una parte quelli che tirano il segnale d’allarme, dall’altra potenti interessi economici che gettano acqua sul fuoco – quasi una metafora – nel tentativo di difendere un modello di sviluppo redditizio per pochi e disastroso per molti.
A voler riprendere tutti i numeri citati si rischia di perdere il filo del discorso. Limitiamoci ad alcuni, gli altri li sentiremo ricordare ripetutamente in questi giorni.
E, per primi, i numeri che annunciano un futuro drammatico per il pianeta: di qui alla fine del secolo la temperatura media della Terra potrebbe aumentare da 2 a 6 gradi, con un drammatico impatto su milioni di persone, a cominciare dai Paesi più poveri. Si possono stimare attorno ai 250 milioni i profughi costretti ad emigrare entro il 2050, con la conseguenza diretta dell’alterazione del clima metereologico e la correlata alterazione del clima sociale fin dentro i nostri Paesi ricchi, sempre più impauriti ma anche sempre più miopi sulle cause della loro paura.
Senza misure di contrasto, l’innalzamento medio del livello degli oceani potrebbe salire di quasi un metro di qui alla fine del secolo e il surriscaldamento minacerebbe la sicurezza alimentare di 200 milioni di persone con effetti devastanti sull’economia.
Su queste previsioni si puಠdiscutere, ma non c’è discussione possibile sugli aumenti della temperatura già   avvenuti negli ultimi due secoli, sull’aumento medio del 10-20% del livello del mare nell’ultimo secolo, sui circa 2 milioni di persone colpite ogni anno da disastri ambientali, quasi tutti in Paesi in via di sviluppo.
A Copenhagen i responsabili politici del pianeta si ritrovano nel Vertice convocato dall’ONU per dare risposte ormai non più rinviabili.
La vigilia è stata segnata da dichiarazioni contrastanti. Per prima, e con più coraggio, si è mossa l’Unione Europea, con la sua proposta di un patto incentrato sul numero 20: entro il 2020, raggiungere l’obiettivo di un risparmio energetico del 20%, di una riduzione dei gas serra del 20% e di un aumento del 20% nella produzione di energie rinnovabili. Ma tutto questo alla condizione che gli altri grandi inquinatori del pianeta, dalla Russia agli USA, dalla Cina all’India, producano uno sforzo equivalente e ne assumano con l’Europa i costi non proprio modesti.
Un mese fa da Singapore, nel Vertice dei Paesi che si affacciano sul Pacifico, USA e Cina (oggi i più grandi inquinatori insieme all’Europa) non hanno fatto grandi aperture, salvo correggersi gli USA qualche giorno dopo dichiarando una disponibilità   ad accordi vincolanti, ma solo politicamente e non giuridicamente.
Non stupisce dunque che in questi giorni a Copenhagen si alzi una densa cortina di fumo fatta di grandi discorsi e di aspri negoziati sotterranei per trovare un compromesso che tenga conto delle prospettive economiche di ciascuno e, ancor più, del consenso dei propri elettori e dei grandi gruppi di pressione che in questa vicenda si giocano interessi enormi, con il rischio di pesanti perdite per alcuni e nuove opportunità   per altri.
A questo punto resta da vedere che cosa puಠfare il cittadino, lavoratore e consumatore, coinvolto fino al collo in questa situazione, ma ancora poco consapevole di quanto sta accadendo e di quanto potrebbe fare per la salvaguardia del pianeta.
Sicuramente dovrebbe cominciare col capire che di questa Terra non è il proprietario – altrochè «padroni a casa nostra»! – ma soltanto un ospite di passaggio che dovrebbe ricambiare l’ospitalità   a chi verrà   dopo di lui, testimoniando una solidarietà   al futuro e non solo, quando pure se ne ricorda, verso i contemporanei.
Di qui discende una richiesta esigente verso i governanti perchè adottino una visione lunga nella politica, senza limitarsi a guerreggiare in vista delle prossime e sempre incombenti elezioni, con il risultato di non promuovere nuove forme di sviluppo e nuovi stili di vita magari anche impopolari oggi ma fecondi di risultati per il bene comune futuro.
Questi nuovi stili di vita, che l’enciclica «Caritas in veritate» indica come segno di un «effettivo cambiamento di mentalità  » non hanno bisogno di grandi discorsi e di storiche decisioni che tardano ad arrivare. Essi sono già   alla nostra portata oggi, risparmiando elettricità   spegnendo le luci quando non sono necessarie, riducendo l’uso dei molteplici elettrodomestici che ingombrano le nostre case, consumando meno carta distruttrice delle foreste, mettendo meno SUV in circolazione, limitando l’uso dei detersivi, preferendo la doccia al bagno che quintuplica il consumo di acqua, acquistando prodotti alimentari di filiera corta e di stagione che richiedono minor consumo di energia e così via. Si potrebbe continuare a lungo con questo elenco di piccoli gesti, inventarne di nuovi, diffonderli attorno a sè e, magari, insegnarli a scuola.
Nell’attesa che i grandi discorsi producano risultati concreti, questi mille piccoli gesti si prenderanno cura del pianeta e contribuiranno a mantenerlo ospitale per chi verrà   dopo di noi.

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