I recenti voti i di fiducia in Parlamento e le relative polemiche che li hanno accompagnati, e che ancora seguiteranno per giorni – sperando che non si tratti di mesi – hanno distratto i cittadini italiani da importanti decisioni che vanno prendendo forma a Bruxelles sulla sorveglianza finanziaria e, in particolare, sui conti pubblici degli Stati membri dell’UE.
Tutto era cominciato con le turbolenze finanziarie di oltre due anni fa, il fallimento di importanti banche in diversi Paesi, le massicce iniezioni di denaro pubblico da parte degli Stati e la creazione di importanti fondi di sostegno, ad opera dell’UE e del Fondo monetario internazionale(FMI), come avvenuto per scongiurare la bancarotta della Grecia.
Poichà© talvolta accade che le disgrazie a qualcosa finiscano per servire, nei mesi scorsi vi fu un intenso lavorio da parte dei poteri pubblici e delle istituzioni finanziarie internazionali non solo per riparare gli enormi guasti provocati da una finanza dissennata, ma anche per definire nuove regole con l’obiettivo di prevenirli in futuro.
Di qua e di là dell’Atlantico sono così state adottate nuove misure di sorveglianza delle attività finanziarie con un vigoroso intervento di Barak Obama negli USA e la messa in cantiere in Europa di nuove e più severe regole per le banche, operazione nota come «Basilea 3», poco gradita ai banchieri, ma apprezzata dai risparmiatori.
In quel contesto l’UE ha avviato un difficile lavoro di revisione di quel Patto di stabilità che prevedeva una soglia massima del deficit al 3% del Prodotto Interno Lordo (Pil) e una soglia massima tendenziale del debito a 60% del Pil. Due soglie superate da molti Paesi: la prima con scostamenti particolarmente importanti in questo periodo di crisi (per l’Irlanda si prevede che sia quest’anno moltiplicata per dieci) e la seconda abbondantemente superata da tempo da alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, destinataria di un richiamo del FMI per i suo debito superiore al 118%.
Per rimediare a questi pericolosi squilibri della spesa pubblica l’UE esige che quest’ultima si collochi nel medio termine al di sotto dell’indice di crescita – che già sappiamo per l’Italia molto debole – con l’obiettivo di ridurre il debito ogni anno di un ventesimo della distanza di quest’ultimo dalla soglia del 60%.
Bastano due conti per capire come questo meccanismo andrà a pesare sulla spesa pubblica italiana e quali siano le conseguenze per le nostre politiche di bilancio.
La regola in corso di adozione è sicuramente severa e grande sarà la tentazione di aggirarla. A dissuaderci dal farlo saranno perಠle sanzioni previste – non più negoziabili ma automatiche – come il deposito infruttifero dello 0,2% del Pil, eventualmente convertito in multa e redistribuito agli altri Paesi dell’euro. Su queste misure si stanno confrontando la Commissione europea, responsabile della proposta, il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri, dove non stupisce che l’Italia cerchi un alleggerimento delle regole e la Germania un loro rigoroso rispetto.
Sapremo presto quale sarà l’accordo finale, ma già c’è chi ha fatto i primi calcoli sui costi per l’Italia se queste misure verranno adottate: si tratterebbe per il bilancio italiano di un salasso di 35 miliardi per i primi anni e questo proprio mentre è sempre più necessario un intervento pubblico a sostegno dell’economia e in favore dell’occupazione.
C’è anche chi, proseguendo nei suoi calcoli, alle multe per la succitata infrazione al Patto di stabilità e per la nota truffa delle quote latte aggiunge l’impegno assunto dall’Italia per il prestito di 5,5 miliardi alla Grecia e vede andarsene altre somme di tutto rispetto.
Se poi si aggiungono a carico dell’Italia – in questo caso non per infrazioni alle regole europee, bensì a quelle italiane – le mancate entrate di oltre 120 miliardi di euro per l’evasione fiscale e la sottrazione di altri 60 miliardi all’erario per fatti di corruzione (lo ha ricordato recentemente la Corte dei Conti), ne risulta un massiccio aggravio per le finanze pubbliche e inevitabili pesanti tagli per il bilancio dello Stato e per i servizi che sarà in grado di erogare.
Tutto ciಠmentre il ministro Giulio Tremonti ci rassicura che tutto va bene, in uno sconcertante Paese dove la maggioranza politica si è concentrata per lunghe settimane a discutere – e a rischiare una crisi politico-istituzionale – per sapere se un appartamento di Montecarlo debba essere valutato 300 mila euro o qualcosa di più.