Consiglio europeo: l’UE nel dopo Yalta

887

Si è concluso senza nà© vincitori nà© vinti il Consiglio europeo straordinario dell’UE chiamato ad affrontare la crisi nel Caucaso, dopo l’invasione russa della Georgia. Purtroppo perಠanche senza uno straccio di progetto per la futura stabilità   del continente europeo tornato, e non da oggi, in condizioni di rischio crescente per la sicurezza e la pace. Che «Yalta – come ha detto Sarkozy – sia finita e il ritorno alle sfere di influenza sia inaccettabile» ha più l’aria di un auspicio che non di una constatazione e tutto lo sta a dimostrare.
A cominciare dalle conclusioni del Consiglio europeo, chiaramente improntate a una preoccupata ricerca di equidistanza tra il «lupo russo cattivo» e l’»agnello georgiano ingenuo», tra i «falchi» europei – alcuni Paesi membri ex-comunisti e il Regno Unito – e le «colombe» dei Paesi fondatori con Germania, Francia e Italia in testa, ma anche equidistanza tra Russia e USA. Alla fine, perà², quello che maggiormente colpisce nelle conclusioni del Consiglio europeo è la ricerca di un precario equilibrio tra le ragioni dell’indipendenza degli Stati sovrani e la loro integrità   territoriale e gli interessi da difendere in una situazione di inevitabile interdipendenza tra le parti in causa. Tra chi ha il petrolio e chi ha le tecnologie, tra chi come l’UE gode di una consolidata presenza nelle Istituzioni internazionali, dal G8 al WTO e chi, come la Russia, vi fa anticamera sorvegliata a vista rischiando un isolamento che non giova nà© a lei nà© a noi. Anche perchà© il vettore economico, e non solo dell’Europa, è ormai rivolto verso Oriente, dove della Russia proprio non si puಠfare a meno.
Si delinea così un quadro complesso e mobile, che tale rimane da quel 1989 quando, con la caduta del Muro di Berlino, si inaugurಠuna nuova stagione geopolitica di cui non abbiamo ancora colto appieno tutte le conseguenze e che è lungi dall’aver trovato un assestamento.
Per questo, dato ma non concesso che Yalta sia del tutto finita, resta da progettare il «dopo» a partire da questo nostro continente che ha nel suo DNA un alto tasso di conflittualità   nazionaliste dalle quali l’Unione europea non ci ha ancora compiutamente vaccinati.
A Bruxelles sono state provvisoriamente evitate pericolose rotture all’interno dell’UE e nei confronti della Russia, si è condannato l’errore dell’invasione russa senza infierire sull’errante, si è saggiamente evitato il «boomerang» delle sanzioni rispondendo con scaramucce diplomatiche a pericolosi interventi sul terreno.
E questo è bene ed era necessario, ma anche sicuramente insufficiente. Il problema è solo rinviato. Il guaio è che lo si sta rinviando da troppo tempo: da quando nel 1954 non fummo capaci di dare vita alla Comunità   Europea della Difesa, quando negli anni successivi continuammo a delegare agli USA e alla NATO il tema della sicurezza europea, quando nel 1991 non capimmo che l’URSS si era dissolta ma non la volontà   imperiale della nuova Russia e ancora oggi quando stentiamo a ratificare il Trattato di Lisbona che qualche modesto strumento in più darebbe all’UE per affrontare la situazione.
Sarà   pur vero che la storia dell’integrazione europea è quella di una «lunga pazienza», ma sarà   anche bene non avere – come direbbe Annah Arendt – «un grande futuro alle spalle» e, a forza di equidistanza, non fare la fine dell’asino di Buridano, esausto a forza di esitare a quale fonte alimentarsi.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here