Brexit: una storia infinita e un avvenire incerto

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“Brexit is Brexit” e andremo fino in fondo: lo aveva detto con britannica determinazione il Primo ministro Theresa May, dopo aver avviato il 29 marzo 2017 la procedura di divorzio del Regno Unito dall’Unione Europea.

Per adesso il risultato è che rischia di andare a fondo il governo britannico, incapace di trovare una soluzione all’azzardo del referendum, voluto dal conservatore David Cameron nel giugno del 2016. Stanno per scadere i due anni – la data sarà quella del 29 marzo prossimo – previsti dal Trattato per concludere l’accordo di separazione e l’incertezza regna sovrana nel Regno di Sua Maestà. Sono divisi i conservatori al loro interno, divisi i laburisti tra la base orientata a restare nell’UE e il leader, Jeremy Corbin, euroscettico più interessato a far saltare il governo e andare ad elezioni anticipate.

Altre elezioni anticipate non sarebbero una novità: nel giugno del 2017 le aveva volute proprio Theresa May che, nell’occasione, vide il partito conservatore retrocedere e perdere la maggioranza in Parlamento. Da quel giorno una densa nebbia politica pesa sul Regno Unito e il voto dei giorni scorsi non aiuta certo a diradarla. La May esce pesantemente sconfitta dal voto ai Comuni, bersaglio di una mozione di sfiducia laburista che potrebbe costarle a termine la guida del governo, senza che a questo punto sia chiaro il seguito di Brexit: se un’uscita dall’UE senza accordo o un secondo referendum o un recesso del Regno Unito dalla procedura di divorzio (consentito dalla Corte di giustizia UE) o un rinvio della scadenza del 29 marzo, che porrebbe però problemi anche per le elezioni europee del 26 maggio.

Adesso la confusione è grande sotto il cielo e rischia di oscurare anche le dinamiche della vita democratica nella quale confliggono l’esito referendario del 2016 e le deliberazioni della democrazia rappresentativa in Parlamento, mandando un messaggio di allerta sui limiti di forme di democrazia diretta su problemi di grande complessità, come quelli dei Trattati internazionali. Una conferma, se ce ne fosse bisogno, della saggezza della nostra Costituzione che all’art. 75 non ammette lo strumento del referendum a proposito dei trattati internazionali.  

Si spiega anche così la vicenda difficile dei rapporti dell’isola col continente, con una lunga storia alle spalle e adesso anche con un avvenire incerto davanti a sé.

Per non andare troppo lontano nel tempo, basterebbe ricordare i tentativi non riusciti di consolidare nel 1960 una “Associazione europea di libero scambio” (EFTA), tra i Paesi rimasti fuori dalle prime Comunità europee a Sei degli anni ’50.

Da allora passarono oltre vent’anni prima che il Regno Unito entrasse nella Comunità economica europea (CEE) nel 1973, non senza una penosa anticamera, imposta in particolare dalla Francia di De Gaulle.

Fin dall’inizio fu evidente l’interesse prevalente, da parte del Regno Unito, per i vantaggi offerti da un mercato europeo promettente, ma un interesse accompagnato da chiare e crescenti riserve per uno sviluppo della Comunità in senso federale, manifestatesi negli anni con aspre contese sul bilancio comunitario, la non adesione a parti importanti dei Trattati e all’Accordo di Schengen fino al rifiuto di adottare l’euro.

Installatosi nell’UE con “un piede dentro e uno fuori “, il Regno Unito ha proseguito su questa strada con la vicenda di Brexit, nel tentativo oggi di raggiungere una separazione consensuale con l’UE, che gli consenta però un rapporto vantaggioso stando in futuro con “un piede fuori e uno dentro”: un’impresa difficile, come ha dimostrato la procedura di divorzio negoziata dal Primo ministro britannico, Theresa May, scontratasi con una insolitamente compatta Unione Europea.

Brexit e le sue conseguenze hanno spaccato il Paese, disarticolato il partito conservatore e messo in difficoltà il partito laburista. Soprattutto hanno riaperto rischi per la pace nell’Irlanda del nord e ridato fiato alle spinte indipendentiste della Scozia, con la prospettiva di mettere a dura prova non solo l’economia, ma anche l’unità del Regno Unito.

E non solo: anche l’UE sarà in parte vittima dell’azzardo britannico: non è banale perdere uno Stato membro di quelle dimensioni, una delle due potenze nucleari europee che siedono nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU e questo proprio in una stagione segnata da grandi sconvolgimenti globali, tra i quali si fa strada anche una caduta della cultura della multilateralità e serie incrinature nei rapporti transatlantici ad opera del presidente USA, Donald Trump.

E adesso che “Dio salvi la Regina” e magari anche l’Unione Europea dall’ondata di follia che si è impadronita dei politici britannici.

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