Boris Johnson ha vinto la sua scommessa, dirà il futuro se la vincerà anche il Regno Unito e quali saranno le conseguenze per l’Unione Europea. Dopo tre anni e mezzo di tentativi non riusciti e di rinvii, il voto britannico del 12 dicembre scorso potrà finalmente contribuire a portare a compimento un’inedita “secessione” dall’Unione Europea e fare chiarezza sui futuri rapporti tra le due sponde della Manica, forse un po’ meno tra la sponda del Regno Unito e quella delle attuali due Irlande, un tema sensibile lasciato provvisoriamente in sospeso.
La vittoria elettorale che ha ridato ai conservatori la maggioranza, persa con le precedenti elezioni anticipate volute da Theresa May, dovrebbe aiutare Boris Johnson a passare il Rubicone, contento lui di dire “il dado è tratto”, meno sereni i cittadini europei ansiosi di sapere che cosa riserverà davvero loro il futuro.
Grande è la tentazione, da questa parte della Manica, di liquidare la “secessione” dicendo che adesso è un problema dei britannici e aspettare e vedere, anche perché nell’immediato non capiterà nulla di stravolgente, in attesa di vedere se e come si concluderanno nel 2020 i negoziati futuri tra le due sponde della Manica.
Non sarà semplice: dall’UE, non esce un’isoletta anglofona – con tutto rispetto per Malta, che magari meriterebbe di essere tenuta in panchina per qualche tempo dopo quello che sta accadendo a La Valletta e dintorni – ma esce un pilastro della democrazia dell’Europa, della sua storia, della sua economia, della sua finanza e delle sue problematiche capacità militari.
L’uscita del Regno Unito modifica anche gli equilibri politici interni all’Unione Europea, facendo venir meno quel quadrilatero a forma di trapezio che teneva insieme i quattro Paesi UE più importanti, per dimensione demografica e forza economica, che erano Germania, Regno Unito, Francia e Italia, lati non proprio equivalenti tra di loro.
Di qui anche la competizione in corso tra i due lati più lunghi del triangolo acuto che ne risulta, all’interno della leggendaria coppia franco-tedesca da tempo in crisi, anche per gli squilibri venutisi a determinare dopo l’abbattimento del Muro di Berlino e l’unificazione tedesca, con la recente crisi economica che ha fatto il resto.
Gli ottimisti vi vedono un’occasione per l’Italia di riguadagnare ruolo, i pessimisti temono il rischio di ulteriori smottamenti nella coesione politica dell’UE, con un aggravamento delle faglie che la minacciano tanto sull’asse est-ovest che su quello nord-sud.
Non è più tranquilla la prospettiva dell’Unione Europea per i rapporti con il resto del mondo, con vecchie e nuove potenze che l’assediano da ogni parte, con il rischio di farle fare la fine del vaso di coccio e di ridimensionare le sue pretese nel governo scombinato che conosciamo del mondo. Come all’ONU, per esempio, dove l’UE perderà una delle due voci europee (l’altra è quella francese) in seno al Consiglio di sicurezza e nell’Alleanza Atlantica (NATO), dove il Regno Unito è una delle tre potenze nucleari (con gli USA e la Francia).
E’ presto per capire come evolverà la partita sulla scacchiera mondiale, ma già è chiaro che niente sarà più come prima e che, salvo ripensamenti dei principali attori, si avvia al tramonto il quadro geopolitico che aveva preso forma nel secondo dopoguerra. Tanto più se gli USA dovessero ripetere il loro disimpegno da sedi multilaterali, come accadde dopo la prima guerra mondiale con il dissolvimento della Società delle nazioni: fu anche in quel clima che esplose la miccia della Seconda guerra mondiale.
Per l’UE il 2020 sarà il suo “anno zero”, quello in cui si deciderà del suo rilancio o del suo declino: ci sono segnali in entrambe le direzioni, dirà il futuro quali prevarranno.
Molto potrebbe dipendere dal come il Regno Unito uscirà: se sbattendo la porta o no.
Ma temo che l’esplicito ed osceno corteggiamento di Trump provocherà una uscita molto “hard”