Ai confini orientali dell’Europa: i negoziati d’adesione di Albania e Macedonia del Nord

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A pochi giorni dalle elezioni europee e vicina allo scadere del proprio mandato, la Commissione europea ha presentato il 28 maggio scorso il rapporto sull’allargamento dell’Unione Europea. Particolarmente attese le raccomandazioni per l’avvio dei negoziati di adesione dell’Albania e della Repubblica della Macedonia del Nord, raccomandazioni rimandate di un anno con molte condizioni.

La Commissione, tenendo fede al calendario fissato, ha così dato il via libera all’inizio dei negoziati, che dovrà tuttavia essere confermato dal prossimo Consiglio europeo previsto il 21 e 22 giugno prossimi. Una decisione non scontata se si pensa alle forti resistenze dimostrate in passato da alcuni Stati membri, Francia e Paesi Bassi in testa, riconfermate oggi con altrettanta determinazione.

Eppure, i due Paesi hanno in gran parte, si legge nello “scrupoloso” rapporto della Commissione europea, ottemperato alle richieste dell’Unione e messo in campo le riforme richieste. Riforme non da poco, che vanno dritte al cuore della costruzione di una democrazia e che richiedono tempo e coraggio. All’Albania, Paese candidato all’adesione da più di cinque anni, è stato in particolare richiesto di consolidare l’imponente riforma del sistema giudiziario, messa in campo da Tirana ormai da alcuni anni e di raddoppiare gli sforzi per la lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione. Alla Macedonia del Nord era stato chiesto, oltre al consolidamento delle riforme istituzionali, di finalizzare un delicato accordo con la Grecia a proposito della sua denominazione. Un accordo raggiunto nel gennaio di quest’anno e che pone fine a 26 anni di ripetuti veti da parte della Grecia alla candidatura di Skopje all’Unione Europea e alla Nato.

Di fronte alla constatazione di promesse mantenute e di progressi compiuti, la Commissione europea ha quindi esortato gli Stati membri a prendere le proprie responsabilità e ad esprimersi positivamente sull’apertura dei negoziati, ricordando loro la credibilità dell’Unione nei confronti di un processo di allargamento ormai da molto tempo inserito in una prospettiva politica e aperto sulla frontiera orientale più sensibile e irrequieta dell’Unione.

Non sono poche le motivazioni che hanno spinto infatti la Commissione europea ad adottare nel febbraio 2018 una nuova strategia per l’allargamento ai Balcani, mettendo in evidenza come il destino dei sei Paesi (Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Albania e Macedonia del Nord) fosse quello di diventare membri dell’Unione Europea a tutti gli effetti entro il 2025.

In primo luogo, si tratta di garantire una certa stabilità a Paesi ancora fortemente segnati da una lunga storia di conflitti che ancor oggi pesano sulla stabilità dell’intera regione. Non solo, ma sostenere una prospettiva europea, garante di pace, di democrazia, di stato di diritto, di sviluppo economico e di cooperazione regionale e europea è senz’altro un obiettivo lungimirante in un contesto geopolitico in fermento e in movimento.

Non sfugge a nessuno infatti come la mancanza di una tale prospettiva potrebbe spingere i sei Paesi a guardare ad altri intraprendenti attori regionali che circondano i Balcani, come Russia e Turchia in particolare, senza parlare della Cina che sta investendo considerevoli risorse nella regione.

Il 21 giugno, il Consiglio europeo sarà quindi chiamato a rispondere alla sfida dell’allargamento nel suo Sud Est. Una sfida che vedrà senz’altro riapparire le divisioni degli Stati membri al riguardo, in un contesto di grande debolezza dell’Unione, divisa fra una logorante Brexit e un risorgere di antichi e pericolosi sovranismi e populismi. E senza risposte, finora, sul futuro delle Istituzioni e delle politiche che dovranno garantire il funzionamento di un’Europa allargata.


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