A un anno dal 7 ottobre 2023, il Medio Oriente sull’orlo del baratro

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A quasi un anno esatto dallo scoppio della guerra in Medio Oriente fra Hamas e Israele, molte sono le considerazioni che si possono fare su un conflitto che affonda ormai le sue radici in più di ottant’anni di storia, una storia di due popoli e di una sola terra. 

E’ in quest’ultimo anno tuttavia che l’orrore e la violenza, messi in scena dalla criminale aggressione di Hamas il 7 ottobre 2023 e continuati nella risposta di Israele con una guerra di estrema brutalità, che il conflitto in Medio Oriente continua, con effetti e ricadute a livello regionale e internazionale non ancora prevedibili e con la prospettiva che il conflitto conosca nel prossimo futuro una pericolosa escalation.

Se è sempre necessario ribadire il diritto di Israele a difendersi, Paese geograficamente e politicamente attorniato da alcuni Paesi che continuano a non riconoscere la sua esistenza, è necessario anche dire che la sua difesa e la sua  sicurezza non possono passare solo dalla guerra, ma devono anche e soprattutto offrire spazi di negoziato e di dialogo per raggiungere una pace rispettosa del diritto dei Palestinesi a vivere anch’essi su quella Terra. Un tale approccio ha il sapore della speranza, ma gli unici accordi di pace che avrebbero potuto disegnare diversamente il destino dei due popoli, si sono definitivamente arenati trent’anni fa, a Oslo. 

Da allora si sono spente lentamente le luci sulla pace e sulla possibilità di creare due Stati. Si sono spente su Gaza, divenuta una prigione a cielo aperto per due milioni di persone senza futuro e senza diritti; si sono spente sulla Cisgiordania e sull’occupazione sistematica di terre da parte dei coloni israeliani. Sono stati anni di guerre di breve durata o limitata intensità, anni in cui, l’Occidente in particolare, ha distolto lo sguardo e ignorato la dolorosa intensità della “questione palestinese” per rispondere ad altre logiche e dinamiche geopolitiche nella regione. Senza dimenticare, per l’Europa in particolare, il peso della memoria della Shoah.

Sono stati tuttavia anni in cui, sull’annoso conflitto israelo-palestinese, è iniziata a declinare la forza del diritto internazionale e della capacità delle Istituzioni internazionali a far rispettare, da parte di Israele, le risoluzioni dell’ONU e ad arginare le ripetute violenze di Hamas, considerato da gran parte della comunità internazionale, come organizzazione terroristica. Nel frattempo, la geopolitica della regione prendeva altre forme e i principali attori regionali si avviavano ad aderire al progetto degli “Accordi di Abramo”, ad avvicinarsi cautamente ad Israele senza, purtroppo, considerare il problema palestinese, immaginando che quegli Accordi avrebbero portato alla pace regionale. 

Il 7 ottobre 2023 ha mandato in frantumi quella convinzione e il sempre fragile equilibrio regionale: dal terribile ed improvviso attacco di Hamas, con centinaia di vittime e ostaggi israeliani,  è scaturita la risposta più sanguinosa e violenta da parte di Israele e della sua storia, una guerra a tutto campo che ha già raso al suolo Gaza, mietendo migliaia di vittime civili, uomini, donne e bambini e con l’obiettivo di distruggere Hamas e tutto il suo movimento. Non solo, una guerra che si è estesa, in questi ultimi giorni, anche al Libano, con l’obiettivo, per Israele, di decapitare e distruggere “definitivamente” il potente movimento degli Hezbollah, legato militarmente all’Iran e in costante conflitto con Israele nel nord del Paese. Guerra e solo guerra quindi, nell’interrogativo più inquietante di quale potrebbe essere, su tutto questo, la risposta dell’Iran, ultimo possibile obiettivo nella visione di Israele. 

Ad un anno dal 7 ottobre 2023, non esiste ad oggi traccia di un possibile cessate il fuoco o di una possibile tregua in un conflitto che rischia di allargarsi paurosamente in tutta la regione. Suona purtroppo solo il leitmotiv di Netanyahu, ribadito all’ONU, “combatteremo fino alla vittoria finale”, un obiettivo che apre tutti gli interrogativi. 

Ma la convinzione è grande che, senza dare una chance alla diplomazia e tentare un dialogo sul futuro, non sarà possibile fermare l’odio che sta crescendo fra i popoli e costruire la pace, non solo fra Israeliani e Palestinesi, ma nell’insieme della regione mediorientale.

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