E’ anche parte della nostra storia europea quello che successe l’11 settembre 1973 in Cile : un colpo di stato ad opera del generale Augusto Pinochet, la morte di Salvador Allende, Presidente eletto democraticamente e al potere da soli tre anni e l’inizio di un lungo periodo buio di violenta dittatura, di persecuzioni e di “desaparecidos”.
La dittatura di Pinochet mette fine al Governo di sinistra di “Unidad Popular” di Allende, un Governo che teneva insieme un ventaglio di movimenti progressisti, dai cattolici ai comunisti, con un programma di riforme che alcuni avevano definito “la via cilena al socialismo”. Tanto bastava per attirare la sospettosa attenzione degli Stati Uniti, molto attenti alle evoluzioni politiche nel loro “cortile di casa”, cosa che li spinse a sostenere il golpe e il governo di Pinochet fino al 1990, anno in cui i risultati di un referendum popolare allontanarono il dittatore dal potere.
Furono anni di durissima repressione che causò più di trentamila vittime tra persone uccise, imprigionate e persone torturate, innescando, alla fine della dittatura, un doloroso processo di memoria, di ricostruzione e di ricerca della sorte dei desaparecidos. Ecco perché il Cile fa parte della nostra storia, dal momento che molti Paesi in Europa aprirono le loro porte e accolsero migliaia di profughi in fuga da un futuro di terrore, sollevando anche movimenti di solidarietà e sostegno da parte dei cittadini europei.
Negli ultimi trentacinque anni il Cile ha ritentato la faticosa strada della democrazia, un processo guardato con attenzione e interesse da altri Paesi. L’ultimo Presidente in carica, Gabriel Boric, era un giovane progressista eletto nel 2021 con un consistente programma di riforme sociali, volte a far fronte alle forti disuguaglianze economiche della società cilena. Secondo recenti dati, infatti, il 20% più ricco della popolazione detiene circa il 50-60% del reddito totale.
Non solo, ma Boric aveva dichiarato l’impegno di riscrivere un’ambiziosa Costituzione progressista che superasse quella adottata durante la dittatura. Una Costituzione che non vide mai la luce, perché respinta con referendum da buona parte dei cittadini cileni nel 2022.
Le recenti elezioni presidenziali del 15 dicembre scorso hanno segnato un cambiamento radicale del contesto politico cileno : sull’onda di un malcontento per le promesse sociali non interamente realizzate nonché l’approfondirsi delle diseguaglianze economiche hanno portato alla vittoria del candidato di estrema destra José Antonio Kast con il 58% dei voti rispetto alla candidata progressista Jeannette Jara con il 41% dei voti.
Si tratta di un voto omogeneo su scala nazionale, presente in tutte l regioni e le provincie del Paese. Un vero e proprio cambiamento radicale basato, in particolare, su un approccio duro sui temi della sicurezza, della criminalità e della lotta all’immigrazione irregolare. L’aspetto più inquietante è che il profilo politico del nuovo Presidente di estrema destra collima con una sconcertante nostalgia e con l’adesione all’eredità di Pinochet. E questo in un momento in cui sono ancora irrisolte e aperte tante ferite lasciate dalla mostruosa dittatura del Generale.
Anche il Cile si affianca quindi all’ondata di cambiamenti in corso in altri Paesi dell’ America Latina, sempre più orientati a destra o estrema destra e sempre più sensibili anche ai venti che soffiano dalla Casa Bianca a Washington : Argentina, Ecuador, El Salvador, Bolivia …Nel 2026 sono previste elezioni presidenziali in Brasile e in Colombia e il rischio di un’ondata sempre più scura sul Continente latino-americano è, ahimé, da non sottovalutare.













