Purtroppo, anche il 2019 non è stato generoso in termini di pace nel mondo. E non solo per quanto riguarda i conflitti armati e le guerre che non trovano vie e canali di negoziato, ma anche per quanto riguarda l’esplosione di manifestazioni da parte di popolazioni stanche di regimi totalitari o corrotti e alla ricerca di democrazia, di libertà d’espressione, di rispetto dei diritti fondamentali e di uno stato di diritto.
Le sfide che la pace si ritrova ad affrontare non si limitano quindi ai conflitti in corso. Si prospettano infatti all’orizzonte nuovi e inevitabili pericoli, di fronte ai quali non sembra venire alla luce consapevolezza e coraggio politico per farvi fronte. Fra questi, i cambiamenti climatici, con i loro devastanti scenari per la sopravvivenza della Terra e dell’uomo, presi nuovamente alla leggera nella recente COP 25 di Madrid; le migrazioni dovute non solo alle guerre ma anche agli effetti del clima e della povertà; la demografia in aumento in varie parti del mondo e un consumo eccessivo delle risorse della Terra in altre; la corsa agli armamenti che ha raggiunto livelli record di spesa nel 2018; i tentativi di indebolire il sistema multilaterale e i rapporti internazionali, la cybernetica e l’intelligenza artificiale sono infatti alcune delle sfide più importanti lanciate al futuro e alla pace nel mondo.
Ma, per limitarci alla realtà di oggi e ai conflitti che si consumano intorno all’Europa e in altre parti del mondo, partiamo dai nostri immediati confini a sud del Mediterraneo, mettendo il dito su un territorio e una regione fra le più tormentate, in continuo pericolo di esplosione e divenuta teatro di scontro non solo fra potenze locali e regionali, ma anche fra le grandi potenze mondiali. E’ infatti teatro privilegiato e incontestato per Mosca, che, nel consolidare la propria presenza e posizione sullo scacchiere internazionale, segna e orienta l’andamento della maggior parte dei conflitti nella zona, mettendo sempre più in evidenza l’ambiguo disimpegno degli Stati Uniti al riguardo.
E’ il caso dell’ormai lunghissima guerra in Siria. Iniziata con le Primavere arabe e con le manifestazioni della popolazione nel 2011, è sfociata in una delle guerre più tenaci e sanguinose per il mantenimento del potere da parte del Presidente Bachar al Assad. Ormai otto anni di una guerra che si è andata via via trasformando e divenuta anche lotta al terrorismo e all’ISIS. Ma anche guerra che ha riportato sotto i riflettori la situazione mai risolta delle popolazioni curde, senza uno Stato, sparse in quattro Paesi e, in Siria, sotto attacco dell’esercito turco durante lo scorso mese di ottobre. Un intervento militare condannato dalla maggior parte degli alleati occidentali nella NATO, ma effettuato con il tacito consenso degli Stati Uniti. Obiettivo di Ankara, con il secondo esercito più importante dell’Alleanza atlantica, era quello di creare, per “ragioni di sicurezza”, una zona cuscinetto alle frontiere sud della Turchia.
Molto più a sud della Siria, nello Yemen, è in corso una guerra da più di cinque anni, che ha innescato una profonda crisi umanitaria e ha portato il Paese ad altissimi livelli di povertà. Pochi sono gli spiragli lasciati aperti ad una mediazione diplomatica, in particolare da parte dell’Arabia Saudita, principale attore in questa guerra volta soprattutto a garantire il controllo del punto più strategico della Penisola arabica, dove appunto si trova lo Yemen. E’ da quel passaggio infatti che ogni giorno transitano quantità enormi di petrolio e merci e, non è quindi difficile capire come questa guerra “civile” sia combattuta per interessi economici e di supremazia regionale da vari altri attori, fra i quali l’Iran.
Risalendo poi verso l’Africa del Nord, incontriamo un altro Paese allo sbando e in preda alla guerra civile: la Libia. Una guerra che covava da tempo e che si è scatenata in particolare con l’offensiva, il 5 aprile scorso, del Generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, per la conquista di Tripoli e del dominio su tutta la Libia. Un’offensiva che sembrava persa in anticipo, ma che, a distanza di mesi, sta coinvolgendo attori internazionali che si schierano, a seconda dei loro interessi economici e politici, con il Generale Haftar o con Al Sarraj, capo quest’ultimo del Governo di Unità nazionale, riconosciuto dall’ONU e dall’Unione Europea. Anche qui quindi un guerra civile che si internazionalizza e che, stando agli ultimi sviluppi, vedrebbe schierarsi, in particolare, la Turchia dalla parte di Al Sarraj, mentre la Russia di Putin si affianca al Generale Haftar. Una situazione che, al di là di tutte le conseguenze che un tale conflitto produce in termini umani, economici e politici, anche per l’Italia e l’Unione Europea, rivela quali siano i nuovi attori che detengono le chiavi del futuro delle guerre o della pace.
Se guardiamo la mappa del mondo, ci accorgiamo che il Nord Africa e il Medio Oriente concentrano un numero significativo di conflitti proprio alle porte d’Europa e dove, oltre a quelli descritti, ve ne sono altri che non hanno mai trovato una soluzione giusta e duratura, come ad esempio quello fra Israele e Palestina o, di natura totalmente diversa e già ai confini con l’India, quello che si consuma da anni in Afghanistan. Non solo, ma in questi ultimi mesi sono nati movimenti e manifestazioni di popolazioni che chiedono, a gran voce, cambiamenti politici nei rispettivi Paesi. E’ il caso delle manifestazioni in Algeria, in Egitto, in Iraq, in Libano e persino in Iran. Sono situazioni che non nascondono la pericolosità e il rischio di risposte violente e che interpellano non solo sulla stabilità dell’intera regione ma anche sui rapporti che l’Unione Europea vorrà stabilire con i Governi coinvolti.
Ma prima di distogliere lo sguardo dai nostri immediati confini, è necessario guardare all’Africa, dove la lista dei conflitti è lunga e il numero delle vittime e degli sfollati impressionante: dal Camerun al Congo, dal Mali al Burkina Faso, dalla Nigeria alla Repubblica Centrafricana, dalla Somalia al Sudan e al Sud Sudan. Conflitti che sono raramente sotto i riflettori dell’attualità, che si consumano in grandi movimenti di popolazione, di rifugiati e richiedenti asilo, in particolare all’interno dello stesso Continente africano. Un recentissimo rapporto dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, stima infatti che sono state più di 19 milioni le persone che nel 2019 hanno lasciato il loro Paese d’origine per cercare rifugio in un altro Paese africano.
Tornando poi ai nostri confini e rivolgendo lo sguardo ad oriente, ci imbattiamo nel conflitto in Ucraina. Dura ormai da più di cinque anni, da quando la Russia ha annesso la Crimea e ha innescato una guerra civile nell’est dell’ Ucraina che oppone le forze governative di Kiev ai separatisti filo-russi nella regione del Donbass. Le vittime sono più di 13.000 e ancora troppo fragili sono le prospettive di una soluzione del conflitto, malgrado i recentissimi sforzi di Francia e Germania di riportare al tavolo del dialogo russi e ucraini. Si è tenuto infatti a Parigi, il 9 dicembre scorso un vertice dei quattro leader con l’obiettivo di rilanciare gli Accordi di Minsk e definire una road map per la pace. Ma è abbastanza chiaro che il prezzo di questa pace è molto alto, perché si annoda intorno ad importanti risvolti strategici nella regione, fra i quali il consolidamento del ruolo della Russia nella regione, le relazioni fra Russia, Ucraina e Unione Europea, la posizione della NATO ai confini della Russia ed infine il passaggio del gas russo attarverso l’Ucraina per l’approvvigionamento dell’Europa, aspetto quest’ultimo oggi particolarmente sensibile visto che l’accordo decennale di transito tra Mosca e Kiev scade il prossimo 31 dicembre.
Sarebbe ancora lunga la lista dei Paesi in preda a guerre o conflitti, e toccano anche Asia e America Latina. Una costatazione inquietante se si pensa, come ricordato prima, alle grandi sfide che attendono il nostro futuro e dove sembrano venir meno gli strumenti più adeguati che la comunità internazionale ha a disposizione per farvi fronte: il multilateralismo, il rispetto del diritto internazionale, il dialogo e la solidarietà internazionale. Non è una prospettiva serena, ma è un quadro che chiama al coraggio politico e alla consapevolezza che la Terra e il suo futuro sono nelle mani di tutti.