Venezuela, tra paure e speranze

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Si fa sempre più tesa e pericolosa la situazione politica in Venezuela, Paese balzato nuovamente sotto i proiettori dell’attualità dopo che Juan Guaido’, Presidente dell’Assemblea nazionale e leader dell’opposizione, ha assunto il ruolo di Presidente della Repubblica fino alla convocazione delle prossime elezioni.

Una decisione che mette direttamente in causa la Presidenza di Nicolas Maduro, successore nel 2013 di Hugo Chavez e riconfermato nel maggio 2018, oggi contestato dalla maggioranza della popolazione e accusato di aver condotto il Paese verso la dittatura e in una catastrofica situazione economica e sociale. Le manifestazioni contro Maduro, in corso da giorni,  sono state violentemente represse, causando molte vittime, feriti e arresti.

Solo quindici anni fa, il Venezuela era il Paese più ricco dell’America latina, grazie alle sue immense riserve di petrolio che hanno rappresentato fino al 90% del suo reddito. Oggi, la situazione è radicalmente cambiata : non esiste più un sistema di salute pubblica, l’87% della popolazione vive in una situazione di povertà, l’inflazione ha raggiunto un livello record assoluto, (più di 41.000%,), il settore petrolifero è alla deriva  e più di 2 milioni di persone (su una popolazione di 31 milioni di abitanti) hanno già abbandonato il Paese. Inoltre, il Venezuela è considerato il secondo Paese più violento al mondo.

E’ una crisi che si è fatta strada nel corso degli anni recenti : dapprima interna al Venezuela, con violente manifestazioni per il continuo degrado della situazione economica e sociale,  oggi con una dimensione internazionale in cui gli attori globali si stanno posizionando a seconda dei propri interessi e in considerazione delle conseguenze che la caotica situazione istituzionale del Venezuela  avrebbe sulla destabilizzazione della regione. Non solo, l’alta tensione in un Paese ora con due Presidenti, crea inevitabile e inquietante incertezza, a partire dalla presa di posizione dell’esercito alla prospettiva di un’amara guerra civile.

Gli Stati Uniti, sono stati fra i primi, insieme ad altri Paesi sudamericani a riconoscere il Presidente Guaino’, mettendo tuttavia in guardia il regime di Maduro nel caso in cui reagisse con violenza. Non solo, ma gli Stati Uniti hanno anche espresso la volontà di imporre nuove e dure sanzioni nei confornti di Caracas, in particolare contro la società petrolifera statale venezuelana. Una posizione che non faciliterà  la ricerca di una soluzione alle numerose difficoltà che affronta e dovrà affrontare il Paese.

Una posizione che vede sul fronte opposto e in sostegno a Maduro, Cina e Russia. La Cina perché, in primo luogo, è il più grande creditore di Caracas. Ammontano infatti a circa 60 miliardi di Euro i prestiti forniti al Paese, prestiti denunciati dall’opposizione e mai riconosciuti dall’Assemblea nazionale. In secondo luogo, perché la Cina conta su Maduro per mettere piede in America latina, regione considerata fra le sue priorità strategiche.

Le ragioni della Russia, corsa anch’essa in soccorso di Maduro e del debito venezuelano, sono legate in particolare all’accordo di cooperazione economica e militare recentemente concluso. Gli interessi geostrategici della Russia nella regione, a soli 2000 chilometri dagli Stati Uniti, appaiono chiari, senza contare che il Venezuela è uno dei più importanti importatori di armi russe.

Infine, la posizione dell’Unione Europea, nella dichiarazione dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini, è un invito al dialogo democratico e ad allontanare lo spettro di una  guerra civile : “L’UE esorta caldamente a tenere con urgenza elezioni presidenziali libere, trasparenti e credibili in conformità delle norme democratiche internazionali e dell’ordinamento costituzionale venezuelano. In assenza di un annuncio, nei prossimi giorni, in merito all’organizzazione di nuove elezioni con le necessarie garanzie, l’UE interverrà ulteriormente, anche sulla questione del riconoscimento della leadership del paese, in linea con l’articolo 233 della costituzione venezuelana”.

La speranza è che le parole dell’Unione Europea vengano ascoltate e non si apra un altro fronte di conflitto. Ma per ora i toni sono ancora troppo accesi, sia nel Paese che all’interno della comunità internazionale.

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