Un’Unione Europea di popoli inquieti

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Ha molti popoli e volti diversi l’Europa, li ha sempre avuti e speriamo li abbia sempre. Siamo il continente delle diversità e il nostro orizzonte resta quello di un’identità plurale, rispettoso delle culture di ciascuno e impegnato a farle convivere pacificamente.

Un progetto straordinario rallentato da politiche nazionali troppo ordinarie per riuscire in misura soddisfacente a raggiungere l’obiettivo di un’Unione politica nella quale la sovranità europea rafforzasse e proteggesse le sovranità nazionali e la cittadinanza europea completasse e proteggesse le cittadinanze nazionali.

Un progetto più difficile da perseguire nel contesto di una crisi economica che ha lasciato strascichi pesanti nei Paesi più esposti e che lascia intravedere problematiche prospettive future. Per rendersene conto basta un rapido sguardo a quanto sta accadendo in seno all’Unione Europea, dalla Gran Bretagna alla Germania, dalla Spagna alla Francia fino all’Italia.

La Gran Bretagna è alla vigilia di una svolta politica storica, che resti o esca dall’UE le conseguenze per la sua economia e il suo futuro nel mondo saranno pesanti: il voto a Westminster l’11 dicembre ne darà un assaggio.

La Germania è alle prese con un ricambio di classe politica, se non anche di maggioranza: Angela Merkel cede il posto alla sua delfina alla testa del partito mentre crescono movimenti tra loro radicalmente divergenti, come i Verdi e l’estrema destra di “Alternativa per la Germania”, ma entrambi distanti dal paesaggio dei partiti tradizionali in declino.

La Spagna, fino a ieri felice eccezione per l’assenza nelle istituzioni dell’estrema destra, ha visto questa componente farsi strada nelle elezioni in Andalusia, con il rischio di terremotare il fragile quadro politico nazionale e spingere ad elezioni anticipate.

Nella Francia di oggi assistiamo a sommovimenti di crescenti dimensioni, oggi alimentati da una protesta eterogenea di “gilet gialli”, accompagnata da un’inquietante violenza che il pur forte assetto istituzionale repubblicano non sembra riuscire a contenere. L’astro nascente Emmanuel Macron è in fase discendente, con una caduta di consenso mai vista finora per un Presidente della “République”, nel quale non solo i francesi ma anche, e forse di più, molti cittadini europei avevano riposto grande fiducia per i coraggiosi propositi di cambiamento annunciati. La rivolta in corso – qualcuno parla di insurrezione – è stata scatenata dalla decisione di aumentare il prezzo dei carburanti per scoraggiare l’uso di auto inquinanti ma ha acceso una miccia che ha fatto esplodere un problema di fondo, quello della caduta del potere di acquisto e delle crescenti diseguaglianze sociali, frutto anche di una politica fiscale poco equa e di una mancata politica sociale per accompagnare la transizione ecologica. Com’è costume in Francia, Paese dove hanno scarso ruolo i corpi intermedi della società civile ulteriormente marginalizzati da Macron, l’epicentro della rivolta si è scaricato direttamente sulla piazza, quasi in attesa di occupare la Bastiglia e liquidare il monarca, come due secoli fa.

Così la “piazza” diventa protagonista della politica, come accade anche in Italia: si è cominciato con la “piazza virtuale” della “piattaforma” grillina, si è proseguito con gli sguaiati festeggiamenti dai “balconi”, sempre degli stessi grillini, per poi scendere a importanti mobilitazioni di “popolo” nelle piazze.

Quattro gli episodi di maggior rilievo dell’ultimo mese, equamente distribuiti tra Roma e Torino: nella Capitale la manifestazione a novembre delle donne contro la violenza maschile e l’8 dicembre quella a dominante sovranista e anti-europea della Lega (di lotta e di governo); a Torino, le due mobilitazioni con posizioni contrapposte, sul futuro dell’Alta velocità e delle comunicazioni con l’Europa.

Si è trattato di manifestazioni di profilo diverso, quando non opposto, ma che convergevano sulla ricerca di un’interlocuzione diretta con i politici al potere, senza passare – anzi cercando di evitare, salvo nel caso della Lega – attraverso la mediazione dei partiti, ma delineando forme ancora acerbe ed episodiche di democrazia partecipativa.

Ed è proprio il tema del futuro della democrazia che si va ad intrecciare con il futuro anche dell’Unione Europea, che dello Stato di diritto è importante garante, come nel caso di Polonia e Ungheria, ma anche laboratorio incompiuto di una democrazia tra le nazioni.

E da portare a termine prima che sia tardi.

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