A quasi due anni dall’invasione russa dell’Ucraina vale la pena tentare un bilancio della solidarietà delle democrazie occidentali, e dell’Unione Europea in particolare, all’Ucraina. L’Occidente, colto colpevolmente di sorpresa dall’aggressione russa il 24 febbraio 2022, ha rimediato almeno in parte con una risposta relativamente compatta a sostegno dell’Ucraina, anche se differenziata da parte dei diversi protagonisti. Del sostegno militare si è fatta carico l’Alleanza atlantica (NATO) a guida statunitense, affiancata dai 22 Paesi UE membri dell’Alleanza (non ne fanno parte Svezia, Austria, Cipro, Irlanda e Malta) con la collaborazione inizialmente politica, e successivamente anche militare, dell’Unione Europea.
Ad oggi questo sostegno si è tradotto con importanti risorse economiche, che vedono in prima posizione l’intervento dell’UE e dei suoi Paesi membri con circa 85 miliardi di euro, gli USA con 49 miliardi e con 24 miliardi complessivi Regno Unito, Canada e Giappone.
Non è senza interesse scomporre questi importi, raffrontandone la composizione tra l’UE e gli USA.
Gli importi dell’Unione registrano 77 miliardi di euro per gli aiuti finanziari contro i 25 degli USA, i quali hanno destinato agli aiuti militari 44 miliardi a fronte dei 5,6 attivati dall’UE: cifre che dicono anche quali sono state le “opportunità” per l’industria militare americana rispetto a quella europea. Non mancano di interesse anche i dati percentuali relativi a quanto i diversi Paesi hanno speso rispetto al proprio prodotto interno lordo, dove impressiona vedere quanto di siano “tassati” i Paesi vicini alla Russia, infinitamente di meno gli altri, in particolare chi si sentiva protetto dagli oceani.
Della solidarietà europea non va dimenticata la coraggiosa decisione dell’UE di aprire tempestivamente le frontiere dei suoi Paesi membri ai profughi, dotandoli di una “cittadinanza europea” provvisoria che consentisse loro di accedere ai servizi pubblici nazionali, dalla sanità alla scuola.
Non stupisce se, dopo due anni, questo sforzo di solidarietà possa produrre segnali di stanchezza, con responsabili politici sulle due sponde dell’Atlantico sensibili all’incertezza della propria opinione pubblica, specialmente se – come nel caso dell’UE e degli USA – questa coincide con decisive consultazioni elettorali.
Conosciamo il blocco della solidarietà negli USA, sotto pressione dei repubblicani in attesa del ritorno alla Casa bianca di Donald Trump e con le difficoltà cui è confrontato Joe Biden, impegnato anche sul fronte israelo-palestinese. Nell’UE hanno seri problemi di politica interna Germania e Francia e tutti devono fare i conti con il veto imposto dal premier ungherese Viktor Orban a un rafforzamento del bilancio comunitario per mantenere il sostegno all’Ucraina.
A dicembre, nel Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo, non è stato possibile raggiungere l’unanimità per un aumento di 50 miliardi di euro del bilancio UE, in gran parte destinati all’Ucraina. La decisione è stata rinviata al 1° febbraio con due possibili opzioni: o Orban ritira il veto, ovviamente in cambio di qualche compensazione, oppure l’UE procederà con un’intesa a 26 Paesi membri che interverranno ciascuno con quote ripartite a livello nazionale non senza qualche serio problema per i loro bilanci, come nel caso dell’Italia.
Benvenuta sarebbe una terza, più decisiva opzione, quella di raddoppiare gli sforzi per iniziative di pace, di chiaro interesse per entrambe le parti: per le democrazie occidentali, che ritroverebbero la loro naturale vocazione al dialogo, ma anche per la Russia che ha dovuto triplicare la spesa militare rispetto al 2021 e contare centinaia di migliaia di vittime tra i suoi soldati e registrare una crescente dipendenza dalla “amicizia” della Cina, la cui ambigua solidarietà con è certo gratuita.