Le sanguinose incursioni del terrorismo islamico in Europa, prima in Francia e pochi giorni dopo in Belgio, hanno scosso dalla loro sonnolenza le Istituzioni comunitarie, a oggi ancora ferme alle dichiarazioni, anche se sembra che almeno i servizi di “intelligence” dei Paesi UE abbiano intensificato il loro coordinamento.
In attesa di un Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo, previsto il 12 febbraio, convocato per affrontare il problema della sicurezza, ci si può aspettare che la macchina comunitaria sfrutti nel frattempo i pochi margini di manovra che le consentono i Trattati per adottare prime misure urgenti. Sarebbe anche logico aspettarsi che Federica Mogherini, Alto Rapprentante per la politica estera e della sicurezza esca dalla tana, molto di più di quanto abbia fatto fino ad oggi, e colga l’occasione per forzare i Trattati sulla scia delle attese e delle paure dei cittadini europei, sempre più consapevoli che, ingessata com’è, questa Unione serve a poco.
Intanto l’UE è confrontata ad alcune scadenze importanti, a cominciare da quella del 22 gennaio, quando la Banca centrale europea (BCE) ha deciso un massiccio acquisto di titoli privati e di Stato, per dare una scossa all’economia europea, contrastare la deflazione in corso e tentare di rilanciare i consumi, alleggerendo le banche dei loro titoli di Stato per liberare liquidità per l’economia europea. Una svolta importante nella politica monetaria dell’eurozona, non solo per le dimensioni dell’acquisto che supererà, entro il 2016, 1000 miliardi di euro, ma anche perché apre un varco verso la mutualizzazione dei debiti sovrani grazie a una parziale condivisione del rischio tra la BCE e le Banche centrali nazionali. Una prospettiva che non incanta la Germania e i Paesi nordici, che temono un allentamento del rigore e il rallentamento delle riforme nei Paesi UE in difficoltà. La congiuntura è tale per cui, dopo le prime scosse già subite preventivamente dal franco svizzero, potrebbe generarsi un’onda sismica che metterà sotto pressione altre importanti monete, come quella cinese e il dollaro, la cui parità sta scivolando lentamente sul rapporto di 1 a 1 con l’euro, con effetti positivi sulle esportazioni europee. È presto per dire quale sarà l’impatto di questa cura monetaria “da cavallo” per scuotere l’economia europea e quale sarà la politica creditizia delle banche. Anche se nessuno crede che, a termine, la politica monetaria possa sostituire la politica economica e ancor meno la politica “tout court”.
La decisione della BCE è stata resa difficile, oltre che dalle resistenze tedesche, anche dalla vigilia delle elezioni greche, in programma tre giorni dopo, il 25 gennaio. Se i sondaggi non saranno smentiti, risultato possibile viste le pressioni da ogni parte sull’elettorato greco, l’UE dovrà affrontare una richiesta di forte cambiamento nella sua politica economica e finanziaria, ossessionata in questi anni dal rigore imposto dalla Germania e dai Paesi nordici. Per la Grecia – ma anche per l’UE – si tratterebbe di una svolta radicale, ma accompagnata da una proposta politica ragionevole che aiuterebbe a fare decollare crescita e occupazione, non solo in Grecia, ma anche nel resto dell’UE, senza mettere in pericolo l’euro, semmai solo contrastando le tentazioni egemoniche tedesche e richiamando tutti all’indispensabile solidarietà attorno alla moneta unica, sola in grado di affrontare le tempeste monetarie mondiali.
Non è ancora chiaro l’atteggiamento del governo italiano in proposito, troppo assente da questa vicenda, assorbito com’è in questi giorni da complicati giochi per il Quirinale. La battaglia condotta durante il semestre di presidenza italiana UE, con qualche risultato, sul tema della flessibilità dovrebbe far guardare con simpatia alle rivendicazioni greche, anche se è comprensibile che l’Italia non voglia essere troppo assimilata alla Grecia proprio adesso, alla vigilia degli esami di riparazione per i suoi ancora precari conti pubblici.
È tuttavia in queste congiunture che gli statisti di razza dimostrano le loro reali qualità politiche, non solo tattiche ma strategiche. Si dice che quando il gioco si fa duro, i duri si mettono a giocare.
Anche per l’Italia e i suoi governanti è venuta l’ora di scendere in campo: la partita sul futuro dell’UE sta entrando nel vivo.