Inizio luglio caldo per l’UE, tra chi prova nostalgia per il passato e chi invita a guardare avanti
Che il futuro non sia più quello di una volta, specie dopo la pandemia, dovrebbe essere chiaro a tutti. Ma non per retrocederlo al passato, quasi una stagione di restaurazione che di futuro ha poco.
Sembra sia quanto accaduto il 2 luglio scorso con l’adozione della cosiddetta “Carta dei valori” da parte delle destre, anche estreme, presenti nell’Unione Europea, dal partito di Marine Le Pen in Francia a quello di Vox in Spagna, dal partito di Viktor Orban in Ungheria a quello del PiS di Andrzej Duda in Polonia e di un’altra decina, fino alla coppia nostrana di Fratelli d’Italia e Lega in competizione in casa e alla ricerca di un’improbabile intesa in trasferta, nel Parlamento europeo.
L’occasione è stata la “Conferenza sul futuro dell’Europa”, avviata il mese scorso con l’obiettivo di preparare l’Unione alle sfide del futuro, in concertazione tra Istituzioni comunitarie e nazionale e la società civile. Per il momento un’iniziativa senza grandi ambizioni ma che agli occhi delle destre europee potrebbe continuare a mortificare le identità nazionali.
Non ancora un risveglio della “bestia nazionalista”, quella che nella prima metà del secolo scorso alimentò due tragici conflitti mondiali – due guerre civili europee – con gli esiti che conosciamo.
Di qui la necessaria attenzione a quanto accaduto in quel convergere delle destre verso il passato, con il pretesto di salvare l’Unione Europea da una deriva di segno federalista e perseguire l’obiettivo di ripristinare politiche nazionali ancorate a una realtà “confederale” di Stati-nazione, gelosi delle loro presunte sovranità e determinati a riprendersi poteri perduti. Tra questi non figura più, almeno per ora, la moneta unica con l’uscita dall’euro, ma certamente la preoccupazione è grande sul versante economico, fiscale e sociale, per non parlare di una prospettiva di riforma del voto all’unanimità.
Non è una caso che questa voglia di passato si manifesti in particolare in questa stagione dove il Recovery Fund ha aperto una breccia per una progressiva fiscalità europea, incoraggiando insieme una serie di riforme – dalla giustizia alla Pubblica amministrazione, dalla concorrenza al mercato del lavoro – che rafforzerebbero il processo di integrazione europea in una stagione della storia in cui si va ridisegnando la geopolitica mondiale e nella quale non c’è futuro per un ruolo determinante dei soli poteri nazionali.
Singolare, come spesso accade, il caso italiano: da una parte, per la firma congiunta in Europa di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini, una all’opposizione e l’altro al governo; dall’altra, per la compatibilità politica della Lega con Mario Draghi “europeista” che insiste a chiedere agli italiani di ritrovare il “gusto del futuro”.
Superfluo poi attirare l’attenzione su quanto sia imbarazzante per i due partiti italiani corteggiare governi come quello ungherese e polacco che, in questi ultimi tempi, sono stati poco amici per l’Italia, sia che si trattasse di accoglienza ai migranti o di solidarietà europea nel reperimento di nuove risorse. Senza contare il cattivo stato dello Stato di diritto in quei due Paesi, minaccia per le democrazie europee, la nostra compresa.
E tutto questo coincide, non a caso, con l’avvio il 1° luglio della presidenza semestrale UE in mano alla Slovenia, oggi un Paese che si muove nella scia di Polonia e Ungheria, disinvolto con il rispetto della libertà di espressione e il contrasto alla corruzione, e con un Premier non sconosciuto alla giustizia, al punto da ritardare le designazioni dei due magistrati sloveni nella neonata Procura europea.
Quando basta per tenere alta la guardia per liberare il futuro dell’Europa dal suo tragico passato e aprirla al mondo, accogliendo il richiamo del Presidente Mattarella nel suo discorso alla Sorbona a Parigi il 5 luglio, perché “Se la storia diviene sempre più universale…non possiamo pensare che a scriverla possano essere canoni obsoleti del “sacro egoismo” delle ottocentesche rivoluzioni nazionali”, perché altrimenti “la pace, la libertà, i diritti, la prosperità, potrebbero divenire in futuro, anche per noi europei, un ricordo”. Difficile essere più chiari.