Ucraina, NATO, Russia: un’introvabile pace

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Tanto si è scritto su questi primi cinquanta giorni di guerra che ormai le parole sembrano perdere il loro senso e il loro ruolo di comunicazione. Dalle immagini che ci giungono quotidianamente dall’Ucraina, abbiamo imparato una geografia indicibile dell’orrore dalla quale, in Europa, pensavamo di essere al riparo. 

Non solo tuttavia una geografia dell’orrore, ma anche un nuovo vocabolario che identifica armi e aiuti militari dei Paesi della NATO per portar soccorso all’Ucraina e fornirle il materiale indispensabile per resistere all’aggressione di Mosca. Con una “sottile  e cinica ” distinzione fra armi difensive e armi d’attacco, Stati Uniti, Regno Unito, Canada e 20 Paesi membri dell’Unione Europea hanno deciso di inviare materiale bellico a Kiev, rispondendo in tal modo alle richieste del Ministro degli esteri Kuleba in occasione dell’ultima riunione della NATO a Bruxelles: “Chiediamo armi, armi, armi”. Comprensibile richiesta anche se carica di doverose inquietudini.

E le armi giungono in Ucraina sotto forma di sistemi di artiglieria pesante, missili terra aria, missili anticarro, mortai, mitragliatrici, droni, armi sempre più pesanti e offensive che portano nomi ai quali ci stiamo purtroppo abituando: missili Stinger, Starstreak, armi Browning… Gli impegni finanziari al riguardo non sono da poco: gli Stati Uniti hanno già stanziato 2 miliardi di dollari per le dotazioni a Kiev, mentre per l’Unione Europea la cifra messa sul tavolo si aggirerà su 1,5 miliardi di Euro. 

È infatti del 15 aprile scorso la decisione del Consiglio dell’UE di adottare, nell’ambito del Fondo europeo per la pace (EPF), misure e fondi supplementari per sostenere l’esercito ucraino, portando  l’insieme delle risorse mobilitate a 1,5 miliardi di Euro. L’obiettivo che si legge  nel comunicato stampa del Consiglio è quello di sostenere ”ulteriormente le capacità e la resilienza delle forze armate ucraine al fine di difendere l’integrità territoriale e la sovranità del Paese nonché di proteggere la popolazione civile dall’aggressione militare russa in corso”. 

Vale la pena ricordare qui che il Fondo EPF è uno strumento finanziario fuori bilancio UE “volto a prevenire i conflitti, costruire la pace e rafforzare la sicurezza internazionale”. È uno strumento che consente il finanziamento di interventi operativi nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune, una politica che, in questa precisa sfida posta all’Unione Europea dalla guerra in Ucraina, fa sentire più che mai tutta la sua mancanza. 

In questo quadro in cui sembrano solo le armi a fare da dialogo e dove sullo sfondo si agita sempre più la paura dell’uso di armi chimiche e atomiche, nascono inevitabilmente i più inquietanti quesiti di fondo e prima di tutto l’interrogativo del perché l’Occidente e l’Europa in particolare, non siano in grado di tentare e farsi promotori anche di un’iniziativa di tregua, di dialogo e di pace. In un mondo sempre più globalizzato e interconnesso, stiamo assistendo ad un’Europa che si riarma, a Paesi europei che, rinunciando ad una storica neutralità, chiedono di entrare a far parte della NATO e della sua protezione. Un secondo interrogativo è quello di capire quali saranno le ricadute di questa terribile guerra su un nuovo ordine mondiale, sulle future Istituzioni che dovranno garantire il rispetto del diritto internazionale e la solidità di una pace globale, se pace ci sarà.

A questo punto non rimangano inascoltate le parole di Papa Francesco: “Per favore, per favore, non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace, dai balconi e per le strade”.

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