Tutti i pericoli dell’accordo UE – Cina

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Il mese di dicembre 2020 avrà segnato per l’Unione Europea un periodo di attività e di decisioni di grande portata, aprendo nuove prospettive politiche, economiche e geostrategiche. In primo luogo, a conclusione di una Presidenza tedesca che coincide anche con la prossima fine del mandato di Angela Merkel, l’Unione Europea ha deciso sul Recovery Fund, ha concluso l’accordo su Brexit e ha firmato un accordo sugli investimenti con la Cina.

Se i risultati raggiunti con Brexit e con il Recovery Fund hanno avuto grandi echi mediatici, lo stesso non si puo’ dire dell’Accordo con la Cina, passato ai margini dei riflettori malgrado contenga significativi risvolti che vanno ben al di là degli aspetti commerciali.

Si tratta sostanzialmente di un accordo di principio che ha come obiettivo di aprire ulteriormente il mercato cinese alle imprese dei Paesi membri dell’UE e di avviare al riguardo un regime di reciprocità fra Cina e Unione Europea. I settori di interesse per l’Europa sono vari e in particolare riguardano i servizi finanziari, l’elettrochimica, le telecomunicazioni e i veicoli elettrici. Una reciprocità che rimane tuttavia, malgrado l’accordo, molto squilibrata, visto che Pechino, su altri determinati settori e al contrario dell’Europa, non intende garantire alle imprese europee aperture di mercato, non intende sopprimere alle sue imprese aiuti di stato e non ha dato sufficienti garanzie né per una maggiore trasparenza né per un chiaro rispetto delle regole di concorrenza imposte dall’Organizzazione mondiale del Commercio (OMC).

Non solo, ma la firma di questo accordo, voluto in extremis dalla Cancelliera Merkel, solleva interrogativi anche su altri importanti versanti. All’interno dell’Unione ha messo in evidenza una certa divisione e contrarietà da parte di alcuni Stati membri che, per ragioni diverse, avrebbero preferito che la Commissione negoziasse garanzie più consistenti. Va detto al riguardo che la forzatura della Cancelliera rifletteva il fatto che la Germania è il primo partner commerciale della Cina in seno all’Unione Europea, con un terzo dell’insieme degli scambi. Era quindi urgente mettere al riparo l’accordo prima che la Presidenza dell’UE cadesse nelle mani del Portogallo e della Francia, senza dimenticare le elezioni federali tedesche del prossimo settembre. 

All’ombra di questa poco onorevole ragione per una firma affrettata, gli interrogativi più inquietanti riguardano altri due aspetti : in primo luogo, il non rispetto da parte della Cina dei diritti umani, l’atteggiamento nei confronti di Hong Kong e la vaga e ancora poco credibile promessa di aderire alla Convenzione dell’Organizzazione internazionale del Lavoro (OIL) sul lavoro forzato, pratica largamente diffusa, sono elementi gravi che non possono essere ignorati in un accordo commerciale con l’Unione Europea, portatrice di ben altri valori, a partire dallo Stato di diritto.

In secondo luogo, questo accordo è intervenuto venti giorni prima dell’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca. Se da una parte l’Unione Europea voleva segnare un passo di indipendenza dagli Stati Uniti sulla scena internazionale, dall’altra ha consegnato alla Cina, grande dittatura, una pericolosa legittimità interna ed esterna e una rinnovata forza negoziale nei confronti dell’insieme dell’Occidente. Un gesto  che non aiuterà certo il nuovo Presidente americano a sanare i rapporti con Pechino dopo le tensioni registrate con l’amministrazione Trump. Ma non aiuterà nemmeno l’Europa ad affrontare, con gli Stati Uniti di Biden, tutte le preoccupazioni che la Cina solleva per l’insieme dell’ Occidente, a partire dalla democrazia e dal rispetto dei diritti fondamentali.

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