In questi tempi di investitura di nuovi presidenti nell’Unione Europea e negli Stati Uniti e di conferma, praticamente a vita, di quelli della Russia e della Cina, meritano qualche considerazione gli assetti istituzionali e politici delle principali potenze chiamate a confrontarsi tra di loro, non sempre pacificamente.
Partiamo dalla definizione della Treccani di “presidente”: “Chi presiede, cioè la persona che, nominata elettivamente o per investitura dall’alto, sovraintende, dirige, coordina, con o senza poteri di rappresentanza, e talora in modo puramente formale o onorifico, l’attività di un’adunanza, di un’assemblea, di un consiglio, di una commissione, di un organo collegiale, di un ente, di un istituto o di un’istituzione”. Non proprio una definizione lapidaria, peraltro impossibile, ma adatta a fotografare presidenze di questa nostra Unione Europea, fortunatamente plurale ma pericolosamente frammentata, dove diversi sono i poteri delle presidenze esistenti.
L’UE è una realtà politico-istituzionale complessa, in transizione verso trasformazioni oggi difficili da prevedere, ma dove non mancano i presidenti, ai vari livelli: da quella del Parlamento europeo a quella, appena riconfermata con voto risicato, della Commissione europea; da quella della Banca centrale europea a quello del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo, entrato in funzione il 1° dicembre. Quest’ultimo, il portoghese Antonio Costa, è “presidente dei presidenti” dei 27 Paesi UE, a loro volta in compagnia di molte e varie altre presidenze nazionali.
Per un rapido raffronto, governano praticamente in solitudine in Russia Putin e in Cina Xi Jiping e con ampi poteri il presidente USA, Donald Trump, che può contare su una doppia maggioranza al Congresso e sul controllo della Corte suprema, mentre non fa mistero di volersi sbarazzare del presidente della Banca centrale USA, la Federal Reserve.
Al confronto, il panorama istituzionale UE fa figura di una giungla dove in troppi pretendono di comandare senza alla fine riuscirci. Sarà pure il detto: “è la democrazia, bellezza, non ci puoi fare niente”, ma quanto lenta e costosa.
Limitiamoci all’appena insediato presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa. Ha ricevuto dai Capi di Stato e di governo dei Ventisette un mandato di presidenza per due anni e mezzo, rinnovabili una volta, e lo aspetta un lavoro complicato: presiedere il Consiglio europeo senza particolari poteri sostanziali, salvo quello di coordinarne i lavori, concordare gli ordini del giorno dei Vertici UE e cercare di facilitarne l’intesa in vista di orientamenti comuni, spesso limitata a una dichiarazione finale che ha più il sapore di un comunicato destinato a rassicurare su una coesione che spesso manca, in attesa che al prossimo appuntamento si possa fare qualche passo avanti in più.
Già tutto questo è difficile e richiede mestiere e pazienza, ma ancora di più è necessaria la pazienza, praticamente quotidiana, che richiede la collaborazione con la presidente della Commissione Europea che, grande accentratrice, ripetutamente in passato non ha esitato ad entrare in competizione con il presidente del Consiglio europeo, fino addirittura ad invaderne le già limitate competenze. E’ quanto accaduto recentemente con le precipitose e poco equilibrate prese di posizione di Ursula von der Leyen a proposito del conflitto israelo-palestinese, meritandosi un richiamo all’ordine da parte di governanti europei.
Una domanda, in forma di provvisoria conclusione: ma è possibile governare l’Unione Europea in queste condizioni e rispondere non solo ai dittatori non frenati da vincoli democratici, ma anche al vecchio/nuovo presidente americano dotato di poteri incomparabili e di rapporti di forza, economici e militari, che lo favoriranno con l’UE ad ogni occasione?
Per una risposta non dovremo attendere molto: solo un mese ci separa dal ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump e da negoziati dove troppi presidenti nell’UE non fanno il peso nei confronti di uno solo negli USA.