Tentativi di ridimensionare i tagli alle emissioni di CO2

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«Il mondo è cambiato» da quando l’UE ha deciso gli «ambiziosi obiettivi» di riduzione di CO2 e di aumento dei consumi da energie alternative, ha osservato il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini rendendo noto che l’Italia chiede «una valutazione di impatto» sulle industrie e l’economia delle misure previste nel pacchetto salva-clima.
In pratica, «l’Italia condivide gli obiettivi di fondo» della strategia europea contro il surriscaldamento del pianeta, ma secondo Frattini e il governo italiano «vanno valutate le sue implicazioni». E non è una novità   la posizione in materia sia del governo che degli industriali italiani, così come di alcuni altri Stati membri dell’UE soprattutto dell’ex blocco comunista, Polonia in testa. Contro la conferma del pacchetto europeo che prevede il taglio delle emissioni si erano scagliati infatti nelle scorse settimane sia il ministro per le Politiche comunitarie, Andrea Ronchi, sia la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia.
Alla vigilia del Consiglio europeo dell’energia, del 10 ottobre scorso, era stata invece BusinessEurope (l’organizzazione europea degli industriali) a prendere una ferma posizione contraria alle nuove misure ambientali attraverso una lettera inviata alla presidenza francese dell’UE. «Le imprese del settore manifatturiero sono considerate le più esposte alla concorrenza internazionale» perciಠ«dovrebbero beneficiare del 100% di quote di emissione gratuite» (cioè inquinanti) secondo il presidente di BusinessEurope, Ernest-Antoine Sellie’re, autore della lettera. Gli industriali europei, così come alcuni governi (ad esempio quello italiano), esprimono dunque preoccupazione «per i costi addizionali imposti dalle politiche dell’UE sul clima che condizioneranno profondamente la competitività   internazionale» delle imprese europee, mentre invece dovrebbe «essere salvaguardato» il settore manifatturiero esposto alla concorrenza «fino a quando non ci sarà   un accordo internazionale che coinvolga l’industria fuori Europa» sostiene BusinessEurope.
Il «pacchetto Energia-Clima», attualmente in discussione al Parlamento europeo, è una delle priorità   della presidenza francese dell’UE, la quale mira a un accordo in prima lettura entro la fine dell’anno, soprattutto in vista delle conferenze di Poznan e Copenaghen. Nei giorni scorsi la commissione Ambiente dell’Europarlamento ha approvato la parte più importante e controversa del pacchetto, riguardante la nuova “borsa delle emissioni” di gas serra (Ets) che funzionerà   dal 2013 al 2020. Il voto ha confermato l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra del 20% entro il 2020, che passerebbe automaticamente al 30% in caso di accordo internazionale alla Conferenza di Copenaghen del dicembre 2009 sul periodo post-Kyoto. La commissione europarlamentare ha anche confermato la posizione iniziale della Commissione europea riguardo ai permessi di emissione, che prevede fin dal 2013 l’obbligo per il settore energetico di acquistare all’asta il 100% delle emissioni attribuite a ciascuna installazione (oggi le quote di anidride carbonica sono assegnate gratis e si paga solo in caso di superamento dei tetti previsti). Nel 2013 gli altri settori industriali, invece, dovranno pagare solo per il 15% dei loro permessi di emissione, ma ogni anno questa percentuale aumenterà   fino a raggiungere il 100% nel 2020.
L’organizzazione Greenpeace osserva perಠche «sono stati stanziati nuovi sussidi all’industria del carbone, concedendo crediti di CO2 per 10 miliardi di euro a progetti di cattura e sequestro della CO2». Il carbone rappresenta infatti la fonte energetica dal maggior impatto sul clima, ma un emendamento approvato dalla commissione europarlamentare da il via libera alle centrali a carbone dotate della tecnologia CCS (Carbon Capture and Storage), ovvero un dispositivo di “cattura” delle emissioni e il loro stoccaggio in un deposito geologico. Un tecnologia ancora agli albori, sottolineano le organizzazioni ambientaliste che la ritengono poco sicura e soprattutto colpevole di drenare risorse che potrebbero essere molto più proficue se investite nel miglioramento delle fonti rinnovabili: «Una truffa per tenere in piedi l’industria del carbone» denuncia Greenpeace.

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