Tempo di bandiere e bandierine

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Si sono appena conclusi a Londra gli Europei di calcio e si sono poco dopo aperti i giochi olimpici a Tokyo. Le competizioni sportive sono state accompagnate da un gran sventolio di bandiere,  esibite come un trofeo o riposte con discrezione in caso di sconfitta.

E’ stata un’universale dimostrazione di quanto contino le identità singolari in un mondo plurale e quanto sia facile passare dalla competizione alla contesa, qualche volta anche con atti di violenza.

Naturalmente non è colpa delle bandiere, molto dipende da chi le sventola, se per incoraggiare la propria comunità di appartenenza o per provocare l’avversario.

La bandiera è un simbolo che aggrega, ma può anche essere un vessillo che guida in battaglia. E spesso il colore rosso è stato anche riferito al sangue dei combattenti. Altri colori raccontano altre storie o dicono speranze, tutte chiamano a raccolta popoli, non sempre per imprese pacifiche.

Nei recenti campionati di calcio le bandiere erano quelle limitate al nostro continente, erano tutte bandiere europee, quelle di una stessa grande famiglia, anche se spesso litigiosa. Diverse le dimensioni delle bandiere viste alle Olimpiadi in Giappone: sono sfilate quelle di tutto il mondo e tra esse quelle dei Paesi europei, tra loro “affratellati” in una competizione pacifica, ma fieri dei rispettivi colori nazionali.

Non è la prima volta nella storia dei giochi olimpici che viene avanzata la proposta di raccogliere gli atleti dei Paesi UE sotto una sola bandiera, quella su sfondo blu con dodici stelle in cerchio che accompagna la storia dell’integrazione continentale fino dal 1955 quando venne adottata all’unanimità dal Consiglio d’Europa, diventata trent’anni dopo la bandiera dell’Unione Europea, quella che simboleggia l’”unità nella diversità” e invita alla solidarietà. 

Ancora una volta a Tokyo quella bandiera con c’era, ne sventolava una a cinquanta stelle: quella dei cinquanta stati federati degli USA, un’impresa che ancora non riesce ai ventisette stati “confederati” dell’Unione Europea. Un raffronto che racconta di due storie non comparabili e di una capacità di unione politica che per noi resta ancora un traguardo lontano. Perché “federazione” e “confederazione” sono due realtà politiche diverse, la prima con una forte sovranità condivisa, la seconda con residuali e deboli sovranità nazionali che stentano a progredire verso un’unità, troppo frenata dalle diversità.

E così continuiamo a sventolare le nostre simpatiche bandierine, che raccontano storie di conflitti e di guerre, storie di cui qualcuno sembra aver nostalgia, guardando più al passato che al futuro. Sono le bandierine della politica che sventolano un po’ ovunque, nel nostro Paese e nella nostra Europa, destinate più a dividere che a unire, non importa se il mondo che cambia imporrebbe solidarietà e coraggio per affrontare il nuovo che ci viene incontro.

Senza dimenticare che il gioco della politica non è assimilabile a quello sportivo che registra vittorie e sconfitte destinate presto all’oblio, dove i campioni passano e restano i campionati. Molto più severo ed esigente il gioco della politica, che può lasciare un segno per generazioni, promuovere il benessere di un popolo o condannarlo alla marginalità, fare vittime tra i più deboli, perpetuando disuguaglianze e discriminazioni e minare la pace.

Non è un invito a rinunciare alla propria bandiera, solo la speranza che un giorno una sola possa bastare per molti.    

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