Stato e nazione nell’Unione Europea

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Nell’Unione Europea le nazioni hanno una vita centenaria, non sono prossime al trapasso e, nel contesto politico attuale, possono costituire un’articolazione importante a fronte di una globalizzazione difficile da governare.

Non stupisce quindi che, nell’attuale congiuntura politica, segnata ancora dall’emergenza sanitaria e aggravata dalla guerra in corso in Europa, le nazioni rialzino la testa, per una forma di legittima difesa che i “patrioti” sono tentati di interpretare con eccessi che rinviano alla memoria delle tragedie in Europa delle due guerre mondiali, con lo spettro di una terza e probabilmente ultima.

A questo nuovo riemergere delle nazioni, intese come popolo preferibilmente “nativo”, potrà contribuire non poco il ritorno in Europa del potere dello Stato, inteso come organizzazione politica, nazionale quando possibile, a fronte dell’inesistenza di un potere politico comparabile dell’Unione Europea. 

Due segnali annunciano questa possibile traiettoria: da una parte l’intervento pubblico nell’economia e, dall’altra, il rafforzamento del potere centrale dell’esecutivo a spese, se necessario, di quello legislativo e delle articolazioni decentrate dello Stato.

Due Paesi si propongono, a diverso titolo, come laboratori per questa sperimentazione: nello spazio economico la Germania, in quello politico-istituzionale l’Italia, con l’UE che assiste preoccupata, per ragioni diverse, a questa evoluzione non trascurabile per il futuro delle nostre democrazie.

In Germania è messa in discussione una consolidata tradizione liberale con l’ingresso dello Stato nell’economia, attraverso lo strumento delle nazionalizzazioni, le misure a sostegno del potere di acquisto, senza dimenticare un rafforzamento di ruolo dello Stato tedesco con lo straordinario aumento della spesa militare.

E non è passata inosservata la nazionalizzazione di Uniper, gigante tedesco dell’energia, primo importatore europeo di gas russo, ripreso al 99% dallo Stato. Ed ha provocato sorpresa e preoccupazione la decisione di destinare 200 miliardi di euro al sostegno a famiglie ed imprese, con una spesa in deficit in contrasto con l’ortodossia tedesca sugli equilibri della finanza pubblica e con un non trascurabile impatto su distorsioni della concorrenza nel mercato unico europeo.

Si potrebbe continuare con i recenti interventi del potere centrale tedesco in materia di energia e di commercio internazionale che, oltre a segnare rilevanti retromarce rispetto alle priorità nazionali, potrebbero confliggere con la distribuzione del potere in uno Stato di impianto federale.

Diverso il discorso per l’Italia, dove vi sono segnali di ripresa di intervento dello Stato nella vita economica, come nel caso della multiforme politica dei “bonus” e di altre misure di sostegno alle imprese e alle famiglie. Nel nostro Paese questi interventi, la cui natura sociale non è da sottovalutare, potrebbero preludere ad una possibile curvatura verso un rafforzamento del potere centrale dello Stato, in contrasto con una pretesa “autonomia differenziata” delle Regioni.

Lo scontro in corso nel mondo, e in particolare sul nostro continente, tra democrazie fragili e autocrazie aggressive, rischia di produrre contaminazioni in favore di quest’ultime, cui si attribuisce un maggiore impatto del processo decisionale da parte dello Stato, grazie anche a un rafforzamento della sovranità nazionale.

Un prezzo che pagherebbero non solo la vita democratica nei nostri Paesi ma anche il processo di integrazione europea, indebolito proprio nel momento in cui dovrebbe invece consentire di fare fronte comune per rispondere alla crisi e mantenere coesione nella risposta alle aggressioni, militari o commerciali, come nel caso di Russia e Cina.

In questo contesto solo una cooperazione tra i Paesi europei e una regolata competizione tra di loro sarà in grado di far dialogare le culture europee e gli Stati UE e proteggere l’Unione e la nostra vita democratica.

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