La fortuna per l’Unione Europea di essere ancora una democrazia tra tanti regimi autoritari nel mondo, tanto ad est che ad ovest, è anche quella di consentire una pluralità di opinioni nei suoi confronti senza essere censurati o peggio.
E già questo incoraggia chi, nonostante tutto, continua a coltivare questo sogno, senza tuttavia impedire di prestare attenzione a chi lo vive come un incubo, qualcuno al punto di vergognarsene.
Il progetto di una Comunità europea nasce, come accade ai sogni, nella notte: quella del secondo conflitto mondiale, nel Manifesto visionario di Ventotene del 1941 e nel Progetto di una Costituzione europea nella generosa visione di Duccio Galimberti nel 1943, trovando per l’Italia il suo primo fondamento nell’art. 11 della Costituzione repubblicana, ispirato da Luigi Einaudi e attivato da Alcide De Gasperi, condiviso da altri visionari in Europa come, tra gli altri, Robert Schuman in Francia, Konrad Adenauer in Germania e Paul-Henri Spaak in Belgio.
Un sogno che diventa presto realtà con le prime Comunità europee degli anni ‘50, cresce territorialmente ad ovest nella seconda metà del secolo e quasi raddoppia i suoi partner nel primo decennio del 2000, in attesa di proseguire nella straordinaria avventura di una pacifica riunificazione continentale.
Una riunificazione continentale, in parte cementata dall’adozione della moneta unica, ma non abbastanza coesa, politicamente e socialmente, per resistere all’irruzione di “cigni neri” come sono state le crisi finanziarie a cavallo del primo decennio del secolo, la devastazione umana della pandemia, l’irruzione di due guerre ai suoi confini, in Ucraina e nel Medioriente, e adesso l’aggressione commerciale, e non solo, di un preteso neo-imperatore, considerato fino a ieri nostro alleato.
Un provvisorio bilancio racconta oggi di due storie europee: quella avviata da Padri fondatori visionari e statisti coraggiosi, ricca di risultati economici e sociali, e quella di nuove generazioni di politici che hanno contribuito a logorare un progetto di futuro di pace e benessere, rendendo l’attuale Unione Europea un sogno tradito, del quale vi è chi si vergogna.
E qualche motivo di vergogna è fondato, in particolare se si guarda a questa Europa, solidale con l’Ucraina, ma incapace di farsi sentire sullo sterminio dei palestinesi a Gaza, dove si fa carta straccia del diritto internazionale ed umanitario. Un’assenza tanto più grave per questo ultimo presidio dello Stato di diritto che, se non difeso nel mondo, finirà col collassare anche in casa nostra.
Tra chi sogna l’Europa e chi se ne vergogna non mancano valutazioni convergenti a patto, per non sbagliare bersaglio di chiarire di che cosa parliamo. In altre parole, se parliamo dell’Unione Europea condannata dai Trattati ad essere largamente ininfluente in materia di politica estera e di difesa, materie nelle quali il Parlamento europeo, già indebolito dall’astensionismo elettorale e amputato dalle esclusioni provocate dalle “soglie di sbarramento”, non ha il potere di decidere o se parliamo dell’Europa degli “staterelli-nazione”, come quella di Giorgia Meloni e degli altri suoi colleghi, che queste responsabilità rivendicano gelosamente per sé, con i risultati deplorevoli che registriamo.
Questo premesso, tra chi si vergogna dell’Europa e chi, nella nuova notte che viviamo, continua a sognare l’Unione Europea, vi sono diagnosi condivise, divergono invece le terapie: la risposta alla domanda squisitamente politica: “che fare?” e, in particolare, quale nuova Unione Europea fare. Perché denunciare non è sufficiente, a qualcuno potrebbe bastare per mettersi la coscienza in pace, poter dire un giorno “io lo avevo detto”, resta da capire che cosa si è fatto.
Chi continua a coltivare il sogno europeo dirà che bisogna rifondare l’Unione Europea per rafforzarne la dimensione federale e si vergognerà non di essere europeo, ma di non esserlo abbastanza. Chi invece si vergogna di essere europeo dica come tradurre questo nobile sentimento in azione politica, proponga alternative praticabili, consentendo alle due diverse, ma condivise vergogne, di saldarsi nella proposta di un nuovo progetto di cui essere insieme fieri domani.