Siria, la caduta di una dittatura e l’incertezza del futuro

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Sono bastati undici giorni ad un gruppo di ribelli siriani per far cadere una dittatura al potere da più di cinquant’anni. Bashar al-Assad è infatti fuggito, ha lasciato il suo Paese per andare a chiedere rifugio in Russia, mentre i ribelli jihadisti dell’HTS (Organizzazione per la Liberazione del Levante), nella notte fra il 7 e l’8 dicembre scorso, dopo giorni di incontrastata avanzata dal Nord del Paese, entravano a Damasco e prendevano il potere. 

Uno sconvolgente colpo di scena che ha messo improvvisamente fine ad una dittatura implacabile, sanguinaria che ha segnato generazioni di cittadini siriani e che, soprattutto dal 2011, anno della “primavera araba” e inizio di una lunga guerra civile, ha fatto più di mezzo milione di vittime e circa 13 milioni di rifugiati e sfollati.

La caduta di Bashar ha innescato sollievo e gioia nei siriani, gioia che segna una giornata storica per il Paese, nonché la speranza di un riscatto per le tante vittime della barbarie. In gioco ora, tutto un futuro da costruire, fra speranze di pace, libertà, ricostruzione e stabilità per il Paese e la regione. Un futuro dalle grandi incertezze e dalle sfide altissime, sia a livello interno che a livello regionale e internazionale.

A livello interno, le sfide si concentrano sul trasferimento e la gestione del Paese da parte del nuovo potere, in un contesto multi-confessionale e multi-etnico in cui vivono sciiti, sunniti, alawiti, curdi, drusi e cristiani. Non solo, un Paese geograficamente ancora frammentato, dove a Nord Est ci sono consistenti zone controllate dai curdi, mentre a Nord Ovest i ribelli dell’HTS controllavano e controllano tuttora la regione di Idlib. Zone sfuggite al controllo governativo di Assad, il quale, malgrado una guerra civile devastante, non ha mai voluto tentare una politica di pacificazione nazionale e di inclusione nel Paese.

La caduta di Bashar al-Assad testimonia anche delle grandi sfide fra attori globali che si sono giocate nel Paese, sfide che ancora non si sa in che modo ridisegneranno, in un prossimo futuro, gli equilibri geopolitici del Medio Oriente, a partire appunto dalla nuova realtà politica siriana. 

La Russia, impegnata nella guerra in Ucraina, non ha investito le risorse necessarie per mantenere al potere, come fatto finora, Bashar al Assad e la sua dittatura. Intervenuto con sporadici bombardamenti a partire dalle sue strategiche basi navali e aeree siriane di Tartous e Lattquia, il Cremlino dovrà definire in che modo mantenere o meno la sua influenza militare sul Paese, suo punto di proiezione verso tutto il Medio Oriente, il Mediterraneo e l’Africa.

L’Iran, altro Paese sostenitore di Bashar, vede nella caduta di quest’ultimo un duro colpo alla continuità del suo sostegno all’”Asse della Resistenza”, da Hezbollah in Libano e ai vari gruppi sciiti in Iraq e Yemen, sostegno che mira in particolare a contrastare l’influenza e la presenza di Israele nella regione. 

La Turchia invece, che ha sostenuto i ribelli e potrà esercitare una certa influenza su di loro, esce senz’altro rafforzata dalla caduta di Bashar, soprattutto nella prospettiva di rafforzare la sua politica nei confronti dei curdi nel Nord della Siria. Senza contare che Ankara ha dato asilo a più di tre milioni di rifugiati siriani, ora desiderosi di rientrare in patria.

Ed infine Israele, il quale, sebbene possa vantare di aver indebolito Iran e Hezbollah libanese, suo solido e costante obiettivo, è tuttavia preoccupato, da una parte, dalle riserve di armi strategiche presenti in Siria e dall’altra dalla frontiera con la Siria sulle alture del Golan, territorio che Israele occupa dal 1967. 

Nel frattempo, a due giorni dalla caduta di Bashar e nella piena incertezza del futuro, alcuni Stati membri dell’UE, fra cui l’Italia, hanno già deciso di sospendere le domande d’asilo dei siriani e di chiudere loro, per il momento, le porte dell’Europa.

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