Non si avevano più notizie dalla Siria da un po’ di tempo a questa parte, anche se si sapeva che il conflitto siriano non era risolto, ma solo temporaneamente sospeso. E’ infatti con moderata sorpresa che il 28 novembre scorso è violentemente riesploso il fuoco nel Nord del Paese, a partire da Aleppo, fra una coalizione di gruppi ribelli jihadisti (Hayat Tahrir al-Sham) e le truppe governative di Bashar al-Assad. Si tratta di gruppi ribelli assai strategicamente diversi fra loro, spesso in conflitto durante gli ultimi anni della guerra civile e oggi riuniti in una sorta di coalizione anti Assad.
Con il passare dei giorni, il conflitto si sta estendendo da Aleppo a Idlib e ad Hama e le forze ribelli, che ora controllano parte di quel territorio a Nord Ovest del Paese, puntano verso Damasco, mettendo contemporaneamente in evidenza una certa debolezza delle forze governative. L’obiettivo finale dichiarato è quello di cacciare definitivamente Assad dal potere, con il rischio, altamente probabile, di portare di nuovo il Paese verso il caos.
Secondo le informazioni che ci giungono dai media, le vittime di questo nuovo conflitto crescono rapidamente, insanguinando di nuovo un Paese che non trova più pace dopo la guerra devastante iniziata nel 2011, anno in cui un vento di libertà si era messo a soffiare anche su una timida primavera araba siriana.
Una guerra che, sebbene messa fra parentesi nel 2016 con un “cessate il fuoco” mediato tra Russia e Turchia, non ha smesso di indebolire e di dividere il Paese, ha causato più di mezzo milione di vittime e spinto milioni di persone a fuggire dal proprio Paese e a cercare rifugio altrove. È stata una tregua dove il fuoco ha sempre covato sotto le ceneri e che, in un momento come oggi di grande instabilità e di conflitti in Medio Oriente, non poteva che riaccendersi.
Il regime siriano, evidentemente indebolito, si ritrova incastonato negli interessi strategici e contrastanti di molti attori, regionali e internazionali, decisi a ridisegnare la carta geostrategica del Medio Oriente. Non per niente questo risveglio e attacco delle fazioni ribelli siriane intervengono in coincidenza con l’entrata in vigore in Libano di una tregua fra Israele e Hezbollah, alleato indebolito, quest’ultimo, del regime siriano e soprattutto alleato prezioso dell’Iran.
Non solo, ma i ribelli hanno lanciato la loro offensiva anche in un momento in cui la Russia, sostegno fedele di Bashar al-Assad, è impegnata nella guerra contro l’Ucraina, con misurato interesse ad intervenire militarmente in Siria e più propensa a cercare una mediazione. Senza dimenticare tuttavia che la Russia possiede due appoggi importanti in Siria, la base navale di Tartus e quella aerea di Humaymim, nei pressi di Latakia.
Una situazione, inoltre, che ha risvegliato l’interesse della Turchia, schieratasi invece a sostegno dei ribelli jihadisti, coi quali intravede la possibilità di impadronirsi di altri territori della Siria del Nord e controllare più da vicino i curdi alle sue frontiere.
Ed infine, Israele, al centro dello scacchiere e impegnato in una guerra in continua escalation nella regione, che vede nella destabilizzazione della Siria il percorso diretto, dopo la sconfitta di Hezbollah in Libano e dopo la decapitazione di Hamas a Gaza, per puntare sul suo obiettivo più importante, e cioè quello di indebolire l’Iran.
Una situazione a dir poco intricata e sempre a grande rischio di instabilità e conflitti. Nell’attesa, fra poche settimane, dell’arrivo di Trump alla Casa Bianca, ai cui occhi questo conflitto in Siria potrebbe fare gioco.