La COP 28, il Vertice dei Paesi ONU sul surriscaldamento climatico a Dubai, si è concluso con un accordo all’ultimo minuto, quando molti erano ormai rassegnati a un fallimento. Fortunatamente per il Pianeta e per i suoi abitanti, in particolare per le generazioni future, non è andata così.
Secondo una formula ricorrente in questi casi, speravamo finisse meglio ma temevamo peggio e per ora tiriamo un sospiro di sollievo. Resta da sapere fino a quando. Perché la corsa a salvare il Pianeta, partita con grande ritardo e a ritmo rallentato, dipenderà adesso in gran parte da come progrediranno, da una parte, il progressivo abbandono delle energie fossili del petrolio, gas e carbone e, dall’altra, l’accelerazione nella produzione di energie alternative non inquinanti, con un punto interrogativo sul futuro dell’energia nucleare.
Il traguardo è stato fissato al 2050, quando dovranno essere azzerate le emissioni di gas serra di cui sono in molta parte responsabili proprio le energie fossili: rispettare quella data darebbe qualche speranza di contenere l’aumento delle temperature sotto una soglia compatibile con la vita del Pianeta, anche se per molti scienziati potrebbe non bastare per fermare in tempo il deterioramento del nostro habitat naturale, già ampiamente segnato da danni ormai irreversibili.
Così alle due coppie in corsa, energie fossili e rinnovabili, se ne aggiunge una terza, quella della natura che potrebbe correre più velocemente del previsto verso punti di non ritorno e rendere insufficienti i risultati della coppia in competizione.
Allora vediamo più da vicino come corre questa coppia, anche per valutare quanto sia stato davvero “storico” l’accordo in extremis trovato a Dubai, tra i Paesi produttori di energie fossili e quelli che stanno investendo in energie pulite. Per la prima volta è stata trovata un’intesa politica per eliminare entro il 2050 il ricorso alle fonti fossili di energia: è una buona notizia, a patto di capire meglio che cosa potrebbe significare nella realtà, anche perché si tratta di un accordo non vincolante e che lascia aperti il ritmo di questo processo sul relativamente lungo periodo – 27 anni – che ci separa dalla scadenza del 2050. Saggezza vorrebbe che la riduzione delle energie fossili partisse al più presto e a ritmo accelerato, ma sappiamo che questo non coincide con gli interessi dei grandi produttori, orientati a ricavare il massimo profitto finché i mercati lo consentono, investendo anzi nella ricerca e sfruttamento di nuovi giacimenti, con il rischio di aggravare non poco la vita sul Pianeta. E mentre da questa parte si rallenta il ritmo di lotta all’inquinamento, dall’altra le energie alternative hanno bisogno di tempo per svilupparsi, con il ricorso a investimenti importanti che accompagneranno una transizione ecologica bisognosa di imponenti risorse finanziarie e non priva di costi sociali non facili da attenuare.
È qui che può entrare nella corsa, con la riduzione delle energie fossili, l’accelerazione per quelle alternative e l’evoluzione in corso della natura, un quarto decisivo protagonista, la vittima designata del surriscaldamento climatico, cioè noi in quanto attori importanti nel consumo di energia, chiamati a modificare i nostri stili di vita, in parte per libera scelta e in parte costretti da una transizione ecologica che inciderà sulla nostra vita quotidiana con sacrifici ai quali non siamo più abituati. Anche noi dobbiamo correre veloci, compresi quanti non ci saranno più al traguardo del 2050, ma perché possano superarlo le future generazioni verso cui siamo debitori per i molti danni che abbiamo fatto al Pianeta.