Russia, Ucraina e nuova geopolitica energetica

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Anche per l’Ucraina il 25 maggio è stato un giorno di elezioni. Senza i voti di Donetsk, nell’est del Paese, dove nessun seggio è stato aperto, l’oligarca Petro Porosenko è stato eletto Presidente dell’Ucraina al primo turno con circa il 54 per cento dei voti. Dopo mesi di instabilità, culminata nell’est del Paese con l’annessione della Crimea alla Russia e con gli scontri tuttora in corso a Donetsk fra l’esercito ucraino e i separatisti filorussi, le future sfide che attendono il nuovo Presidente non sono da poco. Nelle sue prime parole, dopo la vittoria elettorale, un sintetico enunciato di tali sfide: “La priorità è mettere fine alla guerra e portare la pace. Non riconosceremo l’indipendenza della Crimea. Il voto ha dimostrato che i cittadini ucraini hanno scelto la strada dell’integrazione europea e su quella proseguiremo. Terremo aperto il dialogo con la Russia su tutta una serie di altre questioni.”

Sembra quindi avviarsi, con la legittimazione di questo voto, una nuova fase in Ucraina, teatro per mesi di una tensione fra Russia e Occidente da far pensare ad un ritorno della guerra fredda. Una tensione tuttavia non ancora chiarita e risolta che ha messo in particolare evidenza non solo i problematici rapporti tra Russia e Unione Europea, tra Russia e NATO ma ha anche rimesso in primo piano il nuovo protagonismo della Russia sulla scena internazionale, sia da un punto di vista politico, che economico ed energetico. Mentre si è consumato infatti in Ucraina questo nuovo confronto Est-Ovest, e a pochi giorni dall’elezione presidenziale che avrebbe indicato la scelta del Paese verso l’integrazione europea, la Russia ha compiuto due passi estremamente importanti in grado di riorientare, a termine, gli equilibri geopolitici ed energetici odierni. In primo luogo la firma, considerata storica, il 21 maggio scorso a Shanghai, di un accordo per la fornitura di gas da parte della Russia alla Cina. Non è cosa da poco, perché si tratta di un accordo del valore di circa 400 miliardi di dollari e che porta su forniture di gas per circa 38 miliardi di metri cubi l’anno, (e che possono raggiungere anche i 60 miliardi di metri cubi) per trent’anni. In pratica, un’assicurazione per la Cina nella sua progressione a diventare la prima potenza economica mondiale e, per la Russia, oltre a siglare una partnership strategica con la Cina, una garanzia a lungo termine di entrate finanziarie che la sollevano dai problematici rapporti con l’Europa.

Un accordo intervenuto tra l’altro a poche ore dalla richiesta a Putin, da parte del Presidente della Commissione europea Barroso, di rispettare l’impegno nelle forniture di gas all’Europa, impegno nuovamente rimesso in discussione dalla minaccia di chiudere i rubinetti all’Ucraina per le forniture non pagate. Certo è che questo accordo Russia – Cina non è scaturito dal nulla e sono circa dieci anni che i negoziati sono in corso. L’Europa, in questi anni, non è stata in grado di dotarsi di una politica energetica comune e soprattutto non è stata in grado di avviare, mentre si disegnano ingenti gasdotti verso Oriente, una politica di diversificazione dei sui approvvigionamenti.

Il secondo passo compiuto dalla Russia riguarda la costituzione dell’Unione economica euroasiatica (UEE), con la firma, il 29 maggio scorso, di un Trattato fra Russia, Bielorussia e Kazakhstan, mentre Armenia e Kirghizistan dovrebbero aderire a breve. Prende corpo così il progetto di Putin di rafforzare i legami con le Repubbliche ex Sovietiche, anche se sembra abbandonata per ora la prospettiva di includere l’Ucraina, e di istituire un mercato comune e politiche comuni in settori chiave dell’economia. Il messaggio di Putin al riguardo non presta a confusioni :”Oggi abbiamo creato un centro di sviluppo economico potente e attraente, un grande mercato regionale che mette insieme 170 milioni di persone. La nostra Unione ha enormi riserve di risorse naturali, inclusa l’energia, che rappresenta un quinto delle riserve di gas mondiale e il 15% di quelle petrolifere”.

Nuove sfide quindi ai confini orientali, alle quali la nostra Unione Europea è chiamata a rispondere con nuove politiche, nella coesione e nell’interesse dei suoi cittadini, perché la posta in gioco sembra veramente molto alta.

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