Molte le sfide e impegnative che l’Unione Europea sarà chiamata ad affrontare nei mesi e negli anni che verranno.
Tra le Priorità selezionate figurano certamente la Pace, il Pianeta, i Popoli e le Persone, il Perimetro dell’UE: per attivare queste priorità non si potrà prescindere dalla futura articolazione dei Poteri dell’Unione Europea.
L’assetto istituzionale dell’attuale Unione è non solo eccessivamente complesso, provocando spesso incomprensioni e inganni di responsabilità, ma anche in parte obsoleto come naturale per una macchina che, per quanto geniale, risente dei suoi oltre settant’anni di vita, in un mondo molto cambiato dalla metà del secolo scorso e che cambierà anche più radicalmente nei prossimi anni.
A voler semplificare, la struttura istituzionale attuale si regge su quattro pilastri, elencati rigorosamente in ordine alfabetico: Commissione europea, Consiglio dei ministri, Corte di giustizia e Parlamento, per non mettere in prima posizione la Banca centrale europea che, qualche volta, lo meriterebbe.
Con qualche approssimazione, si potrebbe dire che nel processo decisionale e nell’applicazione delle regole convenute si confrontano da una parte il Consiglio dei ministri (una sorta di Senato degli Stati nazionali) e, dall’altra, il Parlamento (una sorta di Camera dei popoli), la Commissione e la Corte di giustizia. Da una parte il potere intergovernativo, con la difesa prevalente degli interessi nazionali; dall’altra, le tre Istituzioni orientate prevalentemente verso la promozione del processo di integrazione, facendosi carico degli interessi dell’Unione.
Di tutte queste Istituzioni solo il Parlamento europeo gode di una legittimità democratica universale e diretta che gli viene dal voto cui si sottopone ogni cinque anni, esattamente quanto dura anche il mandato della Commissione europea (salvo situazioni di crisi), designata dai governi nazionali con la necessaria ratifica da parte del Parlamento. Non rientrano in queste modalità di designazione né la Banca centrale, con un mandato di sette anni, n’è la Corte di Giustizia.
Questo il fermo-immagine che fotografa un quadro istituzionale statico, che statico però non è quando si mette in moto il processo decisionale comunitario. Ad oggi lo avvia la Commissione che, sola, detiene il potere di iniziativa per mettere sul tavolo proposte di decisione sulle quali intervengono congiuntamente, spesso in tensione anche aspra tra loro, il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri alla ricerca di una decisione finale consensuale. Toccherà poi alla Commissione e alla Corte, con competenze diverse, vegliare al rispetto delle decisioni convenute.
Purtroppo il rischio delle semplificazioni è quello di occultare le difficoltà di un processo decisionale in particolare quando, non affidato al voto a maggioranza, incappa nella trappola del voto all’unanimità, bloccando spesso decisioni importanti, come ripetutamente avvenuto recentemente con il voto negativo dell’Ungheria, ma non è il solo caso.
Uscire da questa ragnatela di poteri, per un verso squilibrati in favore dei governi nazionali e, per un altro opaco, come mai dovrebbe essere in una democrazia, non sarà facile, ma sarà oltre che indispensabile anche urgente e qui un ruolo importante sarà quello del futuro Parlamento europeo.
Lo constateremo a giugno quando Mario Draghi presenterà il suo “Rapporto sulla competitività”, un titolo modesto ma con proposte ambiziose. Come quella di procedere con urgenza a una svolta radicale per questa Unione, arrivata al capolinea se non si adottano provvedimenti radicali. Non essendo praticabile, per ragioni diverse, in tempi brevi una riforma dei Trattati, bisognerà “andare avanti con chi ci sta”, ricorrendo alle “cooperazioni rafforzate” previste dal Trattato attualmente in vigore che permettono a un minimo di nove Stati membri di procedere ad una integrazione avanzata all’interno dell’Unione Europea, qualora risulti evidente che l’Unione nel suo insieme non sia in grado di conseguire gli obiettivi di tale cooperazione entro tempi ragionevoli.
Torna il progetto di un’Europa a più velocità, un’opzione difficile, ma forse inevitabile, se vogliamo che l’Unione si rimetta in moto, senza perdere altro tempo prezioso.