Politica agricola UE 2023-2027: meno comune e poco verde

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Da sempre il confronto nell’Unione Europea sulla politica agricola somiglia a una battaglia campale tra Paesi e gruppi di interesse. I toni sono un po’ scesi in questi ultimi anni, da quando la spesa agricola è andata riducendosi o, più esattamente, trasferendosi in parte nei capitoli di politica ambientale. Adesso, dopo parecchi mesi di negoziato,  il compromesso raggiunto a giugno tra Commissione europea, Consiglio e Parlamento è arrivato il 23 novembre all’adozione finale nell’aula di Strasburgo, non senza tensioni.

Intanto va detto che le risorse destinate all’agricoltura restano importanti, oltre un terzo del bilancio complessivo, dopo averne rappresentato nel secolo scorso fino i due terzi. Per il quinquennio 2023-2027 è previsto un bilancio di 387 miliardi di euro, 270 dei quali destinati ad aiuti diretti agli agricoltori, ai quali è chiesto di partecipare a programmi di politica ambientale più esigenti che non in passato, vincoli non proprio graditi ad alcuni Paesi dell’Est.

Una novità importante, non esente da possibili deviazioni rispetto alla dimensione comunitaria della spesa, risiede nella possibilità per ogni Stato di ripartire in autonomia le risorse disponibili, comunicando entro la fine 2021 i piani strategici nazionali. Si sono espressi contro questa decisione i partiti ecologisti, la sinistra e parte dei socialdemocratici che denunciano poca coerenza della politica agricola con le ambizioni dichiarate dal “Green deal” della politica ambientale, in particolare in difesa della biodiversità e della sicurezza alimentare.

Altro punto critico del nuovo programma risiede negli squilibri nella destinazione delle risorse in favore dell’agro-industria, che penalizzano piccole e medie aziende; come pure è stata contestata la debole formulazione dell’impegno al rispetto dei diritti sociali dei lavoratori agricoli.

Potrebbe rimediare a questi limiti il meccanismo di valutazione previsto da parte delle Istituzioni comunitarie nei confronti delle decisioni dei singoli Stati membri, il cui ruolo ha assunto particolare rilievo fino a far pensare che sia in corso un arretramento della dimensione comunitaria della politica agricola, da tempo tentata da un progressivo assorbimento nelle singole politiche nazionali. Una deriva che non autorizza molti miglioramenti da parte dei piani nazionali attesi entro l’anno.

Non bisogna dimenticare che fin dalle origine della prima Comunità economica europea (CEE) la politica agricola era la spina dorsale delle prime politiche comuni e in quanto tale aveva segnato gli equilibri del bilancio comunitario fino al punto di assorbire la parte principale delle risorse disponibili. L’evoluzione delle politiche comunitarie sviluppatesi negli anni successivi hanno progressivamente riequilibrato la situazione, non senza scontentare in particolare gli interessi dell’agro-industria e generando spesso proteste tra gli agricoltori.

Oggi il bilancio dell’UE è alla ricerca di un equilibrio tra politiche che erano condivisibili negli anni dell’abbandono delle campagne, con timori per l’autosufficienza alimentare, e le nuove politiche destinate a sostenere l’UE nella competizione globale, in particolare sul versante della ricerca e dell’innovazione, compresa la transizione ecologica cui la nuova politica agricola dovrebbe dare un contributo importante. Ed è appunto qui che si sono concentrate le critiche al nuovo programma 2023-2027, giudicato da molti meno comunitario e ancora poco verde.    

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