Il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (PNRR) vive in Italia un momento difficile con un futuro che si annuncia problematico. Per valutare situazione presente e prospettive future è utile fare un passo indietro, all’anno di disgrazia 2020, segnato dall’irruzione del Covid con il suo pesante impatto sull’economia europea ed italiana.
Per contrastare la crisi economica, che si annunciava pesante fin dai primi mesi del 2020, le Istituzioni europee si mobilitarono rapidamente su due fronti: quello sanitario e quello finanziario.
Nel primo caso la Commissione europea si fece carico di coordinare l’acquisto dei vaccini e di adottare misure per mantenere aperte le frontiere, assicurando la libera circolazione all’interno del mercato unico; nel secondo caso, d’intesa tra Consiglio europeo, Commissione e Parlamento, vennero rafforzate le risorse del bilancio comunitario, da una parte adottando il “Quadro finanziario europeo 2021-2027, dotandolo di 1.074,3 miliardi di euro e, contemporaneamente, creando uno strumento finanziario supplementare, il “Piano nazionale di ripresa” (Next generation eu) con 750 miliardi di euro tra risorse a fondo perduto e prestiti, ricavati da uno “straordinario” debito comune europeo.
Quest’ultima decisione, adottata dal Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo nel luglio 2020, fu il risultato di un’intesa promossa congiuntamente dalla cancelliera Angela Merkel, dal presidente Emmanuel Macron con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
Per l’Italia vi partecipò il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, allora alla guida del governo giallo-rosso.
L’Italia fu la prima beneficiaria di quel Fondo straordinario con l’affidamento, tra risorse a fondo perduto e prestiti, di circa 192 miliardi di euro per investimenti da portare a compimento entro il 2026, insieme con la realizzazione di importanti riforme attese da tempo. Prese forma di qui il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (PNRR) che, fino all’arrivo del governo Meloni, ha permesso all’Italia di incassare, oltre a un versamento di pre-finanziamento di 24,9 miliardi di euro, le prime due rate previste per un totale di altri 42 miliardi di euro, in attesa di una terza rata di 19 miliardi.
Ed è su questa terza rata che rischia di incepparsi il meccanismo, a causa di forti ritardi nella spesa effettiva e negli investimenti in capo all’Italia, oltre che per alcune riforme ancora in alto mare, come nel caso delle concessioni balneari rinviate da troppo tempo. Per sbloccare la situazione è stata concessa una deroga di un mese all’Italia per giustificare le spese sostenute, mentre il governo chiede una revisione degli accordi, tenuto conto delle difficoltà di esecuzione del piano a causa dell’impatto della guerra, della crisi energetica e dell’impennata dell’inflazione.
A Bruxelles sanno bene che vi sono anche altre cause per questi ritardi: dai bandi che stentano ad arrivare a conclusione alle mancate semplificazioni delle procedure; dalla lentezza di una burocrazia macchinosa alla carenza di personale competente per avviare i cantieri. Senza contare i contrasti tra la Presidenza del Consiglio e il Ministero delle Finanze, con le responsabilità affidate al Ministero per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e per il PNRR: un inserimento che rischia di non semplificare le operazioni e di generare altre tensioni politiche all’interno della maggioranza, come quella alimentata dalla Lega con la sua proposta di rinunciare alle risorse europee prese in prestito, nonostante i tassi di interesse vicini allo zero e il rimborso previsto in 35 anni.
In tutto questo intreccio complicato non ci sono solo in gioco le risorse finanziarie che l’Italia potrebbe perdere, ma più ancora la credibilità di un governo che agli occhi di molti in Europa non è affidabile e mette a repentaglio risorse straordinarie comuni, la cui mancata corretta utilizzazione metterebbe una pietra tombale su altre future iniziative simili e segnerebbe una crisi di fiducia nelle stesse Istituzioni europee.