Più democrazia nella nuova Europa

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Le turbolenze finanziarie, e poi economiche e sociali, che hanno investito l’Unione Europea nello scorso decennio hanno avuto, tra gli altri risultati, quello di contribuire a logorare ulteriormente la vita democratica comunitaria e, allo stesso tempo, ad occultarne la gravità dietro alle pesanti conseguenze della crisi che pure di quel logoramento sono state una componente sostanziale. Tutto questo nel quadro di dinamiche internazionali che hanno messo a dura prova, in misura diversa, la democrazia un po’ ovunque.

Nei vent’anni a cavallo del secolo (1987-2007) il Rapporto di Freedom House aveva constatato un forte incremento degli Stati “democratici”, passati dal 34,5% al 46,6%, una tendenza che non si è confermata nel ventennio seguente, quando la percentuale è scesa al 45,1%, con 35 Paesi che hanno registrato miglioramenti, ma 71 invece un deterioramento. Un fenomeno che va sotto il nome di “recessione democratica”, accompagnata da una crescente crisi del liberalismo.

Viviamo così una stagione della storia che registra un arretramento della vita democratica di ispirazione liberale in importanti Paesi del mondo: fuori dall’Unione Europea basterebbe citare quanto sta avvenendo negli USA di Trump, nel Brasile di Bolsonaro, nel Venezuela di Maduro o nell’India di Modi. Agli immediati confini dell’UE fanno bella mostra di sé le “democrature” di Russia e Turchia, mentre le recenti proteste di Hong Kong attirano l’attenzione sulla domanda di democrazia nei confronti della Cina.

Le recenti elezioni europee sembrano aver mandato un fragile messaggio in controtendenza almeno per quanto riguarda la partecipazione al voto, cresciuta dal 2014 dell’8,39%, ma ancora inferiore dell’11% dal primo voto a suffragio diretto del 1979. Potrebbe essere considerato un buon viatico per la nostra futura vita democratica, anche tenendo conto che da “appena” settant’anni siamo alle prese con un tentativo inedito nella storia del mondo: quello di costruire progressivamente una difficile “democrazia tra le nazioni”, un’impresa molto più impegnativa di quella, già non facile, di salvaguardare democrazie traballanti all’interno di ciascuno dei Paesi UE.

Chi, anche giustamente, denuncia un “deficit democratico” nelle Istituzioni UE dovrebbe anche guardare quanto avviene in casa propria, non solo in Polonia e in Ungheria, ma anche in Paesi di solida vita democratica come Francia, Regno Unito, Germania o in Paesi di più recente democrazia come in Spagna e anche in Italia.

La Francia resta un Paese a regime presidenziale a forte dominante centralista e poco sensibile alle voci dei corpi intermedi; il Regno Unito ha dato in questi ultimi tempi ampi segni di malessere democratico cercando di cavalcare, senza per ora riuscirci, il cavallo pazzo del referendum azzardato di Brexit. La Germania, considerata un’area di ampia e stabile politica consensuale, governata da soli 4 Cancellieri negli ultimi 45 anni, è oggi alle prese con una maggioranza fragile, esposta all’attacco di una inquietante estrema destra.  La Spagna, che ha ritrovato la democrazia nel 1975, è incappata in vicende complesse al suo interno che hanno generato una persistente instabilità politica, in particolare senza riuscire per ora a risolvere il problema dell’autonomia catalana.

Dell’Italia sappiamo: riconquistata la democrazia nel secondo dopoguerra, forte di una Costituzione largamente condivisa, registra da tempo inquietanti erosioni della sua vita democratica con la prevalenza del potere esecutivo su quello legislativo e le tensioni permanenti con il potere giudiziario, i limiti di una effettiva libera informazione e la scarsa partecipazione dei suoi cittadini alla vita politica, accusata di corruzione e di gestioni autoritarie.

Tutto questo non per sottovalutare le debolezze della vita democratica nell’UE: piuttosto per sottolineare che il problema è universale e il “contagio” fuori controllo e poco vale consolarsi con il bue che dice cornuto all’asino, mentre sarebbe bene che entrambi gli animali si accordassero per migliorare la situazione. Cosa possibile negli Stati membri e nell’UE se si mostrasse coerenza con i principi e i valori affermati in apertura di di Costituzioni e di Trattati, senza bisogno di urgenti rivoluzioni, tanto meno nel clima politico attuale.

In questo contesto sarebbe utile la lettura, nel Trattato di Lisbona, degli artt. 9-12 (Titolo II. Disposizioni relative ai principi democratici) e, per gli aspetti più operativi, gli artt. 13-19 (Titolo III. Disposizioni relative alle Istituzioni). Da questi articoli emergono ora alcuni punti essenziali: il rafforzamento dei poteri del Parlamento con la procedura legislativa ordinaria, il nuovo spazio per il principio della democrazia partecipativa e il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nel processo decisionale. In attesa di creare le condizioni un giorno per l’avvio di un processo costituente, se non quello sognato da Spinelli, almeno quello da riproporre dopo gli insegnamenti ricavati dal fallimento del progetto per una Costituzione europea nel 2005. Si tratta di un traguardo ambizioso, da preparare con un rafforzamento della democrazia partecipativa chiamata a soccorrere una democrazia rappresentativa in precaria salute.

Cenni bibliografici:

L. CANFORA, Democrazia. Storia di un’ideologia, Laterza, 2004

N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, Einaudi, 2005

G. SARTORI, La democrazia in trenta lezioni, Mondadori, 2008

R. SIMONE, Come la democrazia fallisce, Garzanti, 2015

S. RODOTA’, Vivere la democrazia, Laterza, 2018

Y. MOUNK, Popolo vs Democrazia, Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale, Feltrinelli, 2018

I. DIAMANTI & M. LAZAR, Popolocrazia, La metamorfosi delle nostre democrazie, Laterza, 2018

G. ORSINA, La democrazia del narcisismo, Breve storia dell’antipolitica, Marsilio, 2018

M. PANARARI, Uno non vale uno, Democrazia diretta e altri miti, Marsilio, 2018

S. FELTRI, Populismo sovrano, Einaudi, 2018

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