Sono anni che i conti finanziari della Grecia tengono banco nell’Unione Europea e la tensione è ulteriormente salita dopo l’esito delle recenti elezioni politiche di fine gennaio. Nel frattempo, però, si sono aggiunti per l’UE altri temi anche più caldi, dall’Ucraina al Medioriente fino alla pericolosità della situazione in Libia in questi ultimi giorni.
Eppure di Grecia si continua a parlare con preoccupazione nell’UE – e non soltanto – ed è importante capire perché. Certo perché ci sono in ballo prestiti di molti miliardi di euro che i creditori sperano di recuperare, pronti anche a qualche deroga sulle scadenze. Ma nell’UE una preoccupazione politica pesa anche più di quella finanziaria e riguarda la tenuta del sistema di regole convenute sui bilanci pubblici nell’eurozona, una forma di “sovranità condivisa” che vincola nell’UE i diversi contraenti, Grecia compresa.
In questa stagione di fragile coesione politica dell’UE, come hanno ancora dimostrato la vicenda ucraina, l’esito infelice dell’operazione europea “Triton” al posto dell’italiana “Mare nostrum” e le divisioni interne all’UE di fronte alla crisi in Libia.
La vicenda greca, al di là degli aspetti finanziari, riporta l’attenzione sulla fragile “sovranità condivisa” tra i membri dell’UE e la legittimità democratica delle decisioni europee quando entrano in conflitto la vita democratica nazionale con quella europea, da sempre tra loro asimmetriche e frutto di regole diverse: la prima, tradizionale, che si sviluppa nel singolo Paese tra il Parlamento e l’esecutivo sulla base delle elezioni politiche nazionali, la seconda che nasce da un assetto istituzionale complesso, con un Parlamento risultato di elezioni europee a suffragio universale diretto e una Commissione europea designata dal Consiglio UE, dei Capi di Stato e di governo, attore prevalente nel processo decisionale UE.
E così accade che la domanda popolare greca, espressa chiaramente nel voto per il Parlamento nazionale, si scontri con decisioni maturate, con forme mediate di democrazia, nel complesso delle Istituzioni europee, dove prevalgono il consenso dei governi nazionali rispetto sia alla Commissione che al Parlamento europeo. In altre parole: la soluzione al problema greco, frutto di un provvisorio accordo raggiunto a Bruxelles i giorni scorsi, dovrà tradursi in un compromesso tra il governo greco pressato dal proprio Parlamento e gli altri governi europei – a diverso titolo creditori della Grecia – pressati dai rispettivi Parlamenti, alcuni dei quali confrontati a imminenti scadenze elettorali. È il caso, nell’eurozona, delle elezioni parlamentari in Estonia, Spagna, Portogallo e Finlandia, di elezioni locali in Francia, Germania e Italia e, fuori dell’eurozona, di Gran Bretagna, Danimarca e Polonia. Tutti Paesi dove la proposta politica di compromesso dovrà misurarsi con forti correnti populiste e antieuropee che da un eccesso di cedimento alle rivendicazioni greche ricaverebbero nuova linfa per le proprie posizioni, spesso antieuro, come accadrebbe in Italia per la Lega e i Cinquestelle.
Non stupisce che in tale contesto la tentazione sia stata grande nell’UE, da una parte e all’altra, di prendere tempo: per la Grecia, Alexis Tsipras ha già dichiarato non avere bisogno di soldi ma di tempo (dimenticando che, forse mai come in questo caso, il tempo è denaro), per l’UE ha parlato Angela Merkel, ricordando che le regole condivise vanno tutte onorate, concedendo una deroga di quattro mesi alle scadenze previste.
Il Consiglio europeo della settimana scorsa aveva girato la patata bollente ai ministri delle Finanze, senza troppo credere in una soluzione definitiva. È già una buona notizia essere arrivati a un compromess – ponte, anche se ancora tutto da verificare. Sarebbe bello se si prendesse spunto dalla vicenda greca in corso per lavorare anche a un progetto – ponte di nuova democrazia tra i Paesi UE, in vista di un’ampia e trasparente “sovranità condivisa”, che apra la strada verso l’Unione politica.