È probabile che quasi ottant’anni di pace in Europa possano averci illuso sulla vocazione pacifica di questo continente. Basterebbe un’occhiata alla geografia e alla sua storia per aprirci gli occhi.
Quando i cambiamenti premono nel mondo, geografia e storia si muovono tra loro intrecciate, con il rischio di qualche confusione.
La geografia europea per esempio non è un tutto omogeneo: ci sono i 27 Paesi dell’Unione Europea, gli altri che nei dintorni della Russia aspettano di entrare nell’UE e la grande Federazione Russia che dall’Europa si proietta lontano nell’Asia, ma in costante fibrillazione ai suoi confini meridionali. Ne sanno qualcosa i Paesi del Caucaso e l’Ucraina e non se ne sono ancora dimenticati i Paesi baltici e la Polonia.
E poi c’è la storia, quella delle guerre e della pace in questa regione del mondo. Le guerre hanno un po’ ovunque alle spalle una storia secolare e anche qualche ritorno di fuoco più recente, come nei Balcani a inizio anni ‘90. I quasi ottant’anni di pace li hanno goduti, nei loro territori, solo i Paesi UE e pochi altri, non senza qualche loro proiezione militare ancora fino agli anni ‘60, con la decolonizzazione e con postumi ancora visibili, come in Africa.
La pace in Europa ha una storia giovane, variamente condivisa, e lungi da essere consolidata al punto da ritenerla a riparo da rischi di guerra. Anche perché non basta essere, come è stato per l’Unione Europea, al riparo dalle guerre, bisogna anche promuovere la pace al di là delle proprie frontiere e senza questo vivremo una fragile tregua che della pace è solo un surrogato.
È stato scritto che l’Unione Europea è figlia della pace piuttosto di esserne la madre, ne ha beneficiato ma non l’ha generata, né al suo interno né in altre regioni del mondo. A volerla dire tutta si potrebbe aggiungere che altri ne sono stati i suoi progenitori. Un lucido ministro degli esteri francese ha affermato ironicamente che i veri Padri fondatori della costruzione europea sono stati Josif Stalin e Harry Truman, prima a Yalta e poi con riferimento alla minaccia sovietica e alla protezione americana durante il periodo della guerra fredda.
Verrebbe voglia di proseguire sul filo dell’ironia, guardando a quanto avviene nella vicenda ucraina, e chiedersi se a rifondare l’Unione Europea, spingendola a dotarsi di una politica estera e di difesa comune, non potrebbero essere oggi Vladimir Putin e Joe Biden: il primo che torna minaccioso ai confini dell’Unione Europea e il secondo la cui protezione, dopo l’irruzione di Donald Trump e la fuga da Kabul, non rassicura i Paesi UE.
Sarebbe ancora un’occasione per l’Unione di assumersi le sue responsabilità, come sta cercando di fare con i suoi principali Paesi, Francia e Germania in testa, impegnati ad inserirsi con fatica nel non-dialogo tra Russia e Stati Uniti. Visto il recente passato non c’è da farsi molte illusioni: abbiamo mancato l’appuntamento con una svolta politica, affondando nel 1954 il Trattato per una Comunità europea della difesa, non abbiamo colto trent’anni fa l’occasione offerta dall’abbattimento del Muro di Berlino e abbiamo già dimenticato i buoni propositi di Angela Merkel, nel 2017, in risposta a Trump: “Noi europei dobbiamo davvero riprendere il nostro destino in mano. Ovviamente dobbiamo mantenere relazioni amichevoli con Stati Uniti, Gran Bretagna e i nostri vicini compresa la Russia. Ma siamo noi a dover lottare per il nostro futuro”.
Da allora sono passati quasi cinque anni, a Trump e succeduto Biden, dopo Merkel è arrivato Scholz, chi non cambia è Putin.
Tutto sommato “niente di nuovo sul fronte occidentale” e non cambia nemmeno l’Unione Europea, da tempo fuori dai giochi.
Buona sera Franco.
E’ auspicabile e dobbiamo augurarci che questi tragici eventi spingano l’UE alla indispensabila unità politico-istituzionale, puntando a riprendere e definire un’unico sistema economico-finanziario con ministero proprio se nonché di difesa. Altrimenti saremo destinati scomperire dallo scacchiere internazionale in balia di altri.
Cordiali saluti e buon lavoro. Mariano.