Orizzonte elezioni europee (1)

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Siamo a poco più di due mesi dalle elezioni europee e le forze politiche si stanno mettendo faticosamente in moto in vista di un appuntamento importante.

Il prossimo 25 maggio si concluderà la consultazione elettorale, che per alcuni Paesi si aprirà già tre giorni prima, e che inaugurerà la nuova legislatura europea 2014-2019. Il voto europeo inaugurerà anche il nuovo semestre europeo a presidenza italiana e peserà sulla ricomposizione del quadro istituzionale europeo, chiamato a rinnovare la Presidenza del Consiglio europeo – oggi rappresentata dal mite Herman Van Rompuy – e la Commissione europea, in particolare il suo Presidente, dopo i due opachi mandati di José Maria Barroso.

Si tratta di una matassa non facile da sbrogliare, soprattutto se fossero confermati i sondaggi che danno i partiti anti – europei attorno ad un terzo dei 751 seggi del Parlamento di Strasburgo, dove siederanno i 71 parlamentari eletti in Italia.

Ma procediamo un passo alla volta, nell’attesa che si chiariscano i programmi, ricordando compiti istituzionali e novità politiche del nuovo Parlamento che voteremo a maggio.

Il Parlamento europeo ha fatto molta strada nei suoi sessant’anni di vita, acquisendo progressivamente importanti poteri che lo hanno portato ad essere oggi “colegislatore” insieme con il Consiglio dei ministri, una specie di “Camera dei popoli” a fronte di una “Camera degli Stati”. Non che sia stata raggiunta ancora una parità sostanziale tra i due poteri, in un sistema di spinte e controspinte alla ricerca di un equilibrio tra un’Unione sovranazionale e quella intergovernativa, oggi dominante sulla scena europea.

E qui si colloca una novità di rilievo, ma sconosciuta ai più, delle prossime elezioni. Forti dei nuovi poteri affidati al Parlamento europeo dal Trattato di Lisbona – in vigore solo dopo le scorse elezioni del 2009 – i principali partiti politici europei hanno interpretato le loro ancora limitate conquiste come una possibilità di determinare le scelte degli Stati nella designazione dei vertici istituzionali UE, in particolare il presidente della Commissione europea, l’esecutivo comunitario. Di qui la decisione di individuare da parte di questi partiti un candidato alla presidenza della Commissione da proporre/imporre al Consiglio europeo, al quale i Trattati confermano il potere finale di nomina.

Non c’è nulla di semplice nella complessa – anche troppo – macchina comunitaria: la storia dell’integrazione europea procede anche così, creando situazioni di fatto destinate poi a essere recepite dai Trattati. È quanto potrebbe avvenire con la prima indicazione popolare, attraverso il voto di maggio, del candidato a presiedere la Commissione europea, scelto nella lista ormai nota dei leader designati dai rispettivi partiti.

Per il Partito popolare europeo (PPE), di cui fanno parte Forza Italia e il Nuovo Centro Destra, il candidato sarà il lussemburghese Jean – Claude Juncker, sostenuto dalla Merkel, politico di grande esperienza europea, democristiano con sensibilità sociale e conoscitore dei complicati meccanismi economici e finanziari dell’UE. Per il Partito dei socialisti e democratici europei (PSE), dove è appena approdato, dopo anni di incertezze, il Partito Democratico italiano, sarà capolista l’attuale Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, proprio quello che con infelice intuito Berlusconi apostrofò come “Kapò”: un profilo grintoso e istituzionalmente forte, aperto verso sinistra senza dimenticare di essere un socialdemocratico tedesco. Autorevole ed europeista convinto il candidato dei liberali, Guy Verofstadt, ex primo ministro belga; noto attivista no global il francese José Bové, in corsa per i Verdi. E infine una new entry, il greco Tsipras, alla testa della lista “L’altra Europa”, posizionata a sinistra con analisi e proposte innovative per l’Europa di domani.

Questi gli uomini schierati ai blocchi di partenza: personalità di rilievo, chiamate prima di tutto a battere le falangi anti – europee, da quelle che scalpitano in Italia – dalla Lega a Grillo fino agli ondivaghi Fratelli d’Italia – a quelle provenienti dalla Scandinavia, Gran Bretagna, Olanda e Francia.

Nessun timore: non può che fare bene all’Europa un confronto duro sul futuro dell’integrazione continentale. Con la speranza che il futuro abbia il sopravvento sul passato.

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