La settimana scorsa è stata densa di avvenimenti in questo “piccolo promontorio dell’Asia” che è l’Europa. Da quelli che hanno coinvolto più direttamente l’Italia con la valutazione, piena di preoccupazioni allarmanti da parte della Commissione europea, sulla legge di bilancio all’accordo in extremis sulla revisione del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (PNRR), con la speranza di ricevere entro fine anno una nuova tardiva rata di contributi, per concludere infine con l’incontro a Berlino tra il governo italiano e quello tedesco per avviare un Piano di azione strategico condiviso tra i due Paesi, in vista forse di un Trattato bilaterale come quello franco-tedesco e italo-francese.
La scena l’ha però rubata il 22 novembre, da una parte la clamorosa vittoria dell’estrema destra in Olanda e, dall’altra, il contrastato voto al Parlamento europeo sulla futura riforma dei Trattati, in entrambi i casi sintomi seri del malessere europeo.
L’Olanda è, nella storia ormai lontana, la patria di due campioni della tolleranza, come Erasmo da Rotterdam e Baruch Spinoza; in quella più recente uno dei sei Paesi fondatori delle prime Comunità europee negli anni ‘50 ma anche, più recentemente ancora, il Paese che con la Francia ha affondato nel 2005 il Progetto di Costituzione europea e, nei mesi scorsi, ha registrato un’ondata di ribellione del mondo contadino contro le politiche ambientali UE.
Non sorprende quindi più di tanto che sia esplosa nelle scorse elezioni politiche un’ondata populista anti-europea, un evento da non sottovalutare, in particolare in vista delle prossime elezioni europee, ancor più se si guarda alla larga presenza nei governi UE delle destre, quando non delle destre estreme e comunque di una loro forte diffusione, come in Francia e in Germania.
Ha fatto eco a questo esito elettorale, nello stesso giorno, un contrastato voto nel Parlamento a Strasburgo sul rilancio del processo di integrazione europea attraverso la possibile leva della riforma dei Trattati. Fin dall’inizio i Trattati hanno inquadrato competenze e responsabilità crescenti delle Istituzioni comunitarie, con svolte importanti come il Trattato di Maastricht del 1992 e quello di Lisbona nel 2009, entrambi largamente invecchiati e inadeguati ai nuovi tempi che viviamo, ancor più se si guarda al prossimo decennio con un mondo in rapido cambiamento e l’UE chiamata ad allargarsi ad un’altra decina di Paesi.
Una riforma in profondità si impone e a questo hanno lavorato i partiti europei del centro-sinistra – la “maggioranza Ursula” – forti sulla carta di una larga maggioranza. Che invece si è seriamente incrinata al momento del voto tra 305 sì alla riforma, 276 no e 29 astensioni: all’appello è mancata una quota consistente dei voti del Partito popolare europeo (PPE), compreso quelli del partito del probabile futuro premier polacco, ex-presidente “europeista” del Consiglio europeo.
E’ stata forte l’opposizione alla proposta di riduzione del voto all’unanimità e, più in generale, dell’espansione delle politiche comunitarie in senso federale e della richiesta di rafforzare il potere del Parlamento europeo, in particolare in materia di bilancio.
Adesso toccherà al Consiglio europeo decidere se, quando e con quali modalità convocare, come richiesto dal Parlamento, una Convenzione per la riforma dei Trattati: non sarà una passeggiata per nessuno, con i governi nazionali restii a rafforzare le responsabilità del Parlamento europeo e della Commissione, con i Parlamenti nazionali gelosi di quello che resta del loro potere e un’opinione pubblica poco coinvolta nell’iniziativa.
Tutto questo mentre il vento del nazional-populismo torna a soffiare forte e con oltre metà della popolazione mondiale che nel 2024 sarà chiamata alle urne, oltre che nell’UE, negli USA, Russia, India, Indonesia, senza dimenticare l’esito del voto in Argentina e altri simili un po’ ovunque: per la democrazia nel mondo una stagione madre di tutte le battaglie.