Nuove prospettive di negoziato con la Turchia

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Con la presentazione dei rapporti della Commissione europea, lo scorso 16 ottobre, sui Paesi candidati all’adesione e il conseguente accordo in seno al Consiglio dei Ministri, si sono riaccese, dopo tre anni di silenzio, le prospettive di  negoziato con la Turchia. Aperti ufficialmente nel 2005, anche se la candidatura risale al 1999, tali negoziati sono sempre stati oggetto di tergiversazioni, di opposizioni chiare o velate, soprattutto da parte di Francia e Germania, tanto da rendere il  processo di adesione un continuo “oggetto” in sospeso, privato del dovuto dibattito e attenzione sull’insieme delle ricadute politiche, geo-strategiche, culturali e religiose di una tale adesione.

Il negoziato si riaccende infatti su un capitolo che tratta di politica regionale, un tema che, di per sé, non dovrebbe comportare particolari divergenze e quindi un capitolo volto più che altro a favorire la ripresa del dialogo, anche se ancora non si sa verso quali traguardi politici.

La Turchia è un grande Paese di circa 80 milioni di abitanti in prevalenza musulmani e di cui circa la metà ha meno di 30 anni, si estende come un ponte fra Europa e Asia, ha una crescita economica che, malgrado la crisi, registra circa il 3,6% nel 2013 ed infine è membro della NATO. Una posizione che, se da una parte lascia perplessi alcuni Stati membri sulla vocazione europea della Turchia, dall’altra la ripresa del dialogo e del negoziato interroga sulla politica di allargamento e sulla volontà politica dell’Unione Europea di cogliere tutte le opportunità che una tale adesione può comportare. In tre anni di sospensione dei negoziati infatti, molti sono stati i cambiamenti avvenuti sullo scacchiere internazionale, a partire  dalle ricadute delle Primavere arabe agli immediati confini meridionali dell’Unione. Ricadute che non solo hanno portato pericolose instabilità, nuovi rapporti e ricerche di egemonie regionali, ma che hanno nello stesso tempo rivelato il ruolo della Turchia in quanto possibile anello di congiunzione fra l’Europa e quella parte di Mediterraneo su cui si dovrebbero costruire, in futuro, nuovi, necessari e più articolati rapporti.

La Commissione europea saluta, nel suo rapporto, i progressi fatti dalla Turchia sul piano della democrazia, ma i temi dello Stato di diritto, dei diritti dell’uomo e delle minoranze, della libertà d’espressione e il riconoscimento di Cipro rimangono i punti più problematici e sui quali la Turchia ha ancora strada da fare.

Restano tuttavia aperti i grandi quesiti su come dovrà attrezzarsi l’Europa per portare avanti i cantieri aperti sul suo futuro allargamento, a partire anche dai Paesi dei Balcani. Quesiti  che dovrebbero trovare già tentativi di risposte e andare coerentemente di pari passo con il progredire dei vari negoziati: quale sarà ad esempio l’assetto istituzionale e il percorso decisionale all’interno della futura Unione? Quale legittimità democratica e quali trasferimenti di sovranità nazionale perché l’Unione non continui a cadere in un vistoso immobilismo o in un sempre più insignificante ruolo di fronte all’emergere di nuovi attori internazionali? Quali lezioni trarre dalle ultime adesioni, dove i criteri di Copenhagen (democrazia, governante economica, Stato di diritto) sembrano fermarsi al momento dell’adesione e sfuggire poi al controllo della stessa Unione? Quale ruolo, a partire proprio dai suoi valori costitutivi, sarà in grado di svolgere l’Unione Europea così fortemente proiettata su una scena internazionale in rapido movimento ed economicamente sempre più globale?

Sono domande legittime che i cittadini europei. Sulle loro risposte si decide non solo il futuro dell’Unione, ma anche quello di quei Paesi che, anche se non in un futuro ravvicinato, aspirano ad entrare nella famiglia europea.

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