Nuove elezioni per il Sultano

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Non è stato proprio una sorpresa l’annuncio del Presidente turco Erdogan di indire nuove elezioni presidenziali e legislative per il prossimo 24 giugno, con un anticipo di circa un anno e mezzo sulla data inizialmente prevista del 3 novembre 2019.

Varie le ragioni che hanno spinto il Presidente a prendere questa decisione a cosi’ breve termine, che, come primo effetto, ha quello di lasciare pochissimo tempo ad eventuali avversari politici di organizzare una vera ed efficace campagna elettorale. E’ il caso, in particolare, del nuovo partito politico Iyi Parti, il Buon partito, nato nello scorso ottobre e che puntava a vincere le prossime elezioni presidenziali del 2019. Guidato dall’ex Ministro degli Interni, la Signora Meral Aksener, l’IyI Parti è un partito di destra, ma con obiettivi totalmente diversi da quelli del partito di Erdogan : è laico, contrario all’islamizzazione della Turchia e in opposizione alle misure autoritarie e repressive adottate negli ultimi tempi e, in particolare, all’indomani del tentato golpe del luglio 2016. Considerata dai sondaggi turchi come un credibile e potenziale avversario politico di Erdogan, la Signora Aksener, non avrà, in tal modo, più il tempo necessario per consolidare la base del suo partito.

Le ragioni dell’urgenza stanno quindi nel garantire, al più presto e con un margine di sostegno politico più ampio possibile, una nuova rielezione alla luce della riforma costituzionale adottata, troppo di misura, nell’aprile 2017. Si tratta infatti di una riforma che conferisce i pieni poteri al Presidente e ha trasformato il Paese in una Repubblica presidenziale, sempre più lontana da valori di funzionamento democratico : non esisterà più la carica di Primo Ministro e il potere esecutivo andrà nelle mani dello stesso Presidente ; sarà ridimensionato il ruolo del Parlamento nel controllo esercitato sul Governo e sul Presidente e verrà abolita la mozione di sfiducia nei confronti di Presidente e Ministri. Inoltre, il Presidente avrà la possibilità di sospendere o limitare le libertà fondamentali e i diritti politici nel caso in cui sia in corso uno “stato di emergenza”. Una condizione, quest’ultima, in vigore dal luglio 2016, prolungata lo scorso 18 aprile per la settima volta e che farà da sfondo alle prossime elezioni. Una prospettiva dai risvolti più che inquietanti sullo svolgimento delle elezioni e della loro legittimità.

Va qui inoltre ricordato che l’entrata in vigore della nuova Costituzione è prevista per il novembre 2019. Con la prospettiva prevista dell’azzeramento del primo mandato, il Presidente Erdogan potrà essere rieletto per due termini consecutivi di cinque anni ciascuno, e rimanere in carica, in teoria, fino al 2029, se non oltre. Quasi una garanzia di potere a vita.

Ma non sono solo argomenti di politica interna che spingono il Presidente candidato a stringere i tempi delle elezioni. I successi militari turchi nell’enclave curda di Afrin volti a garantire una maggiore sicurezza ai confini meridionali del Paese hanno generato un’ondata di fervore nazionalista e populista non trascurabile da cogliere e sfruttare il più presto possibile. Nelle parole di Erdogan, la motivazione risiede nella intricata situazione mediorientale, di fronte alla quale la Turchia deve dotarsi di un governo forte e all’altezza delle sfide in corso.

Erdogan non si scosta quindi dalla traiettoria tracciata anni fa e persegue il suo obiettivo di rimodellare la futura “nuova Turchia” in un Paese dal profilo religioso più marcato e da una visione della democrazia molto più vicina alla dittatura e al potere assoluto.

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