Sono ormai alcuni mesi che l’attenzione del mondo è soprattutto rivolta ad Est dell’Europa, in quell’Ucraina che sembra avviarsi risolutamente verso una guerra civile e a diventare teatro di scontro fra Russia ed Occidente. Ma non mancano fermenti inquietanti anche a Sud dell’Europa, a tre anni dalle Primavere arabe che hanno ridisegnato prospettive e rapporti di forza nella regione e sullo scacchiere internazionale.
La prima attenzione è rivolta alla Siria, dove una guerra vera e propria sta andando avanti da tre anni a questa parte e non presenta alcuna prospettiva di soluzione. Non si contano più le vittime e i profughi, le distruzioni nel Paese, mentre le sofferenze della popolazione siriana stanno dolorosamente approdando sulle coste dell’Europa. Unica notizia, non certo sorprendente, è l’organizzazione delle elezioni presidenziali il prossimo 3 giugno, dove in lista ci sono tre candidati: Bachar al Assad, convinto di vincere le elezioni e due candidati di un’ipotetica opposizione. Da sottolineare che lo scrutinio si svolgerà unicamente nelle zone controllate dal regime di Bachar. Una prospettiva che induce solo, da un punto di vista umano, a rafforzare i sentimenti di rassegnazione e di impotenza della comunità internazionale e, da un punto di vista politico, ad eliminare qualsiasi possibilità di transizione democratica, di dialogo per la pace e, in ultima analisi, ad aggravare, a livello regionale, la già forte opposizione fra sciiti e sunniti.
Continuando il giro d’orizzonte, elezioni presidenziali si profilano per il 26 e 27 maggio anche in Egitto, dove la campagna elettorale è iniziata fra scontri e violenze. Candidato più che favorito non è altro che Abdel Fatah Al – Sissi, il generale che nel luglio 2013 ha destituito Mohamed Morsi, primo Presidente eletto democraticamente in Egitto e esponente dei Fratelli Musulmani. Da allora la lotta contro gli islamisti non ha conosciuto tregua, innescando una spirale di violenza e di minacce jihadiste che minano costantemente la stabilità del Paese. Non solo, ma il potere provvisorio dei militari in questi ultimi mesi ha dato segni di insofferenza anche verso quella parte laica e più vicina ai valori espressi nelle lontane rivolte del 2011, oggi impersonate dal candidato sfidante Hamdeen Sabbahi. Si scontreranno quindi due visioni molto diverse del futuro dell’Egitto, che avranno conseguenze non solo sul piano interno in termini di democrazia, stato di diritto e riforme economiche e sociali, ma anche su quello internazionale e sui rapporti con l’Occidente.
Anche l’Algeria è stata chiamata alle urne per rieleggere, per la quarta volta, il Presidente Abdelaziz Buteflika. Paese chiave per le forniture di gas, l’Algeria era rimasta al riparo dai venti delle Primavere arabe, ancora segnata da quegli anni novanta fatti di guerra civile e di sofferta riappacificazione. Ma la stabilità interna e la sicurezza garantite dal vecchio Presidente, rieletto con più dell’80% dei voti e un’affluenza alle urne del 51%, sembrano non essere più sufficienti ad arginare il malcontento, la precarietà economica e la mancanza di prospettive di cui soffrono i giovani in particolare. Per la prima volta, la contestazione è scesa in piazza con il movimento Barakat, (Basta !), il cui obiettivo è imprimere un significativo cambiamento politico all’immobilismo attuale dell’Algeria.
Ed infine, il giro d’orizzonte termina in Palestina, con l’accordo firmato il 23 aprile tra l’OLP (Organizzazione di liberazione della Palestina) e Hamas, il movimento di resistenza islamico e fondamentalista, un accordo volto a mettere fine alle divisioni politiche e alla spartizione fra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania. Un tentativo di riconciliazione (non è il primo) che avviene allo scadere del periodo di negoziati di pace fra Israele e l’Autorità Palestinese, conclusosi ancora una volta senza risultati. Solo il futuro ci dirà come evolverà questo accordo e soprattutto se aprirà o chiuderà definitivamente la prospettiva di pace in tutto il Medio Oriente.