L’UE: fra allargamento e timori per la libera circolazione

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Si avvicina a grandi passi il 1° luglio, data in cui la Croazia dovrebbe entrare ufficialmente a far parte dell’Unione Europea, diventando così il 28mo Stato membro. Un allargamento che, pur avvenendo nel corso di una crisi economica e sociale che non accenna a finire, apre concretamente le porte al secondo Paese dei Balcani, ancora in guerra solo vent’anni fa. Al suo ingresso tuttavia mancano ancora le ratifiche parlamentari del Trattato di adesione di tre importanti Paesi: Slovenia, Danimarca e Germania, senza le quali l’adesione della Croazia sarebbe, nel migliore dei casi, rimandata. Il ritardo della Slovenia trova le sue ragioni in antichi conflitti e restituzioni bancarie ancora in discussione, risalenti al periodo della dissoluzione dell’ex Iugoslavia, quello della Germania probabilmente nel timore di veder arrivare un 28mo Stato membro che non sta certo  molto bene da un punto di vista economico.

Rimane tuttavia un segnale ambiguo per gli altri Paesi dei Balcani che, fra mille problemi interni e difficoltà ad adeguare le loro Istituzioni e le loro economie ai requisiti europei, stanno negoziando il loro futuro, certamente a lungo termine, nell’Unione Europea. Serbia, Montenegro, Macedonia, Bosnia, Kosovo e Albania stanno infatti camminando in quella direzione, coscienti del fatto che, se non ancora in termini di sviluppo economico e sociale, l’aggancio all’Unione europea rimane ancor oggi una garanzia di stabilità e di pace in una regione tuttora attraversata da irrisolte turbolenze etniche e politiche. Ne sono la prova i difficili negoziati fra Serbia e Kosovo, patrocinati da Bruxelles, dove il raggiungimento di un accordo o di un compromesso fra le due parti è condizione essenziale per raggiungere l’obiettivo di un’apertura di negoziati di adesione.

Di tutt’altro genere i negoziati in corso con Islanda, quasi pronta da un punto di vista politico ed economico a concludere i negoziati di adesione e con la Turchia dove i negoziati sembrano ravvivarsi in questi ultimi tempi con l’atteggiamento meno ostile della Francia di Hollande, ma pur sempre con l’evidente circospezione della Germania della Cancelliera Merkel. Una Turchia che, tra l’altro, oltre ad essere economicamente vivace con i suoi 70 milioni di abitanti, sta diventando un punto di riferimento importante nella complicata geopolitica che si sta disegnando a sud del Mediterraneo e in Medio Oriente.

Tutto ciò avviene in un contesto nel quale le ricadute dell’ultimo allargamento e in particolare per quanto riguarda Bulgaria e Romania, creano ancora paure e disagi all’interno dell’Unione Europea stessa. Scade infatti nei prossimi mesi il termine per concedere a questi due Paesi la libera circolazione delle persone e dei lavoratori nell’UE. Una scadenza che dal 2007 in poi ha registrato, a fasi alterne, le opposizioni di molti Stati membri fino a giungere al termine ultimo con la probabile chiusura da parte di Regno Unito, Germania e Olanda. La paura delle invasioni rumene o bulgare, cosa che l’Italia aveva già in parte superato, sta avendo il sopravvento in questi Paesi, mettendo a rischio uno dei pilastri su cui si basa la stessa Unione Europea.

Uno scenario senz’altro complicato ma che ripropone una riflessione sulle frontiere dell’Europa e sul ruolo dell’Europa nel mondo.

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