Con le elezioni presidenziali in Iran del 14 giugno scorso si è conclusa, dopo otto anni, la Presidenza di Mahamoud Ahmadinejad e si apre quella di Hassan Rohani, unico candidato fra i sei rigorosamente scelti dal Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione, che rappresenta una corrente, se non proprio riformista, senz’altro conservatrice moderata. È stato uno scrutinio con una discreta partecipazione al voto, più del 70% della popolazione e che si è tenuto in un momento particolarmente sensibile per la politica interna ed estera del Paese. La sua vittoria è stata salutata con toni di speranza sia dalla popolazione che lo ha eletto, sia a livello internazionale. Ma quanto il nuovo Presidente potrà rispondere a queste speranze è tutto ancora da interpretare, visto che le redini del potere in Iran sembrano sempre saldamente in mano alla Guida suprema, l’ultraconservatore Alì Khamenei.
Sta di fatto che la situazione che vive oggi l’Iran è talmente complessa sotto tanti punti di vista che la ripetizione di scenari come quelli vissuti nel 2009 con la rielezione, al primo turno, di Ahmadinejad e la conseguente violenta repressione delle proteste, era una prospettiva che il potere voleva a tutti i costi evitare. Dal 2009 infatti molte cose sono cambiate nel Paese e nella regione, dove sono apparsi nuovi attori, nuove sfide e nuovi protagonismi.
Da un punto di vista interno, le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea per il programma nucleare stanno avendo effetti devastanti sulla situazione economica e sociale del Paese: disoccupazione, produzione ai minimi storici, inflazione galoppante stanno visibilmente deteriorando il livello di vita degli Iraniani. Non solo, ma l’esigenza di portare avanti una politica conservatrice che continua a guardare a quella Rivoluzione islamica del 1979, ha portato ad imbavagliare la stampa, la cultura, la libertà di espressione e di pensiero. Tutti aspetti questi della vita odierna in Iran di cui Hassan Rohani ha avuto il merito di parlare durante la sua campagna elettorale, introducendo quella valvola di sfogo e di speranza volta anche a contrastare un’insidiosa rassegnazione fra i giovani, sempre più inquieti e che rappresentano pur sempre una buona percentuale della popolazione.
Anche sulla scena internazionale le cose sono molto cambiate dal 2009. Innanzitutto, le Primavere arabe stanno ridisegnando il profilo geopolitico della regione, con sbocchi ancora tutti da definire sul lungo termine sia in termini politici e religiosi, sia di equilibri regionali e internazionali. La guerra in Siria, il sostegno dell’Iran e degli Hezbollah libanesi a Bachar al Assad, il programma nucleare e le inquietudini di Israele per la sua sicurezza sono alcuni degli elementi di rilievo ai quali è confrontata la politica estera iraniana e che hanno portato il Paese ad un crescente isolamento sulla scena internazionale.
Hassan Rohani è contemporaneamente uomo religioso, moderato e un mollah diplomatico. Come detto prima, i suoi poteri sono alquanto limitati e i suoi toni alquanto diversi da quelli a cui ci aveva abituato Ahmadinejad. Il prossimo futuro ci dirà se la sua elezione sarà servita solo ad allentare temporaneamente le forti tensioni interne ed esterne al Paese o se, come vorremmo sperare, è l’inizio di un cambiamento e di una nuova stagione di apertura e di futuro dialogo.