Libia sempre senza pace

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Sono significativamente mutati, in Libia, i rapporti di forza sul campo di battaglia. Il Generale Khalifa Haftar, definito “uomo forte della Cirenaica”, impegnato dall’aprile dell’anno scorso in quella che sembrava la sua ultima battaglia per conquistare Tripoli, è ora in difficoltà e sembra rassegnato a una tregua. 

Insofferente ai richiami e alle mediazioni dell’ONU, indifferente ai tentativi di negoziati di pace e agli accordi raggiunti finora con la comunità internazionale per la stabilizzazione della Libia, il Generale Haftar non ha risparmiato sugli investimenti militari e sui suoi variabili appoggi diplomatici per raggiungere un obiettivo che l’avrebbe portato a rovesciare il Governo di Accordo Nazionale (GNA), riconosciuto dall’ONU, guidato da Fayez al-Sarraj e diventare con forza il nuovo rais. Non gli sono mancati infatti considerevoli successi militari, come l’occupazione della città di Sirte e di Al-Jufra, tanto da sollevare fondati timori per la possibile conquista di Tripoli da parte del Generale, timore dovuto anche alla palese debolezza del suo avversario. 

Dalla caduta di Gheddafi nove anni fa, numerosi sono stati i tentativi di rappacificare la Libia, caduta in una guerra civile in cui l’intreccio fra fazioni in lotta fra loro, numerose milizie dagli interessi in conflitto, la spaccatura tra Tripolitania e Cirenaica e interessi sempre più evidenti di attori esterni, ha portato il Paese in un turbine di caos, di forte instabilità e infine, alla guerra. 

Ed è stato proprio, in queste ultime settimane, l’intervento diretto di una delle principali potenze coinvolte nel conflitto libico, la Turchia, a capovolgere lo scenario bellico, mettendo in gravi  difficoltà il Generale Haftar e sostenendo le forze del Governo di Accordo Nazionale, intenzionate a riconquistare e liberare i territori occupati. 

Le difficoltà militari di Haftar e la sua evidente debolezza hanno tuttavia e inaspettatamente riaperto un nuovo scenario diplomatico per una possibile iniziativa di pace, riportando in evidenza i principali protagonisti internazionali di questo conflitto: Se il GNA di Al-Sarraj è sostenuto da Turchia e Qatar, il Generale ha dalla sua parte la Russia, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. L’iniziativa di porre fine alla guerra è stata lanciata dall’Egitto, riprendendo buona parte di quegli accordi conclusi nel gennaio scorso a Berlino e che il Generale Haftar ha sempre disdegnato e ignorato: cessate il fuoco immediato, ritiro delle forze militari straniere dalla Libia e ripresa del negoziato a Ginevra. 

Un’iniziativa che, sebbene sostenuta da gran parte della comunità internazionale e accettata da un Generale ormai alle corde, trova questa volta forte resistenza da parte di Tripoli e di Al-Sarraj, intenzionati a portare fino in fondo la riconquista dei territori occupati dall’esercito della Cirenaica, in particolare di Sirte e Al-Jufra. In gioco i terminali petroliferi della costa e i pozzi del sud, obiettivi fortemente condivisi con la Turchia. Senza dimenticare che a Al-Jufra, una delle basi militari più grandi del Paese, sono schierati i caccia della Russia. 

Una situazione che non ha perso nulla della sua complessità e pericolosità e che, oltre ad aprire strettissimi spiragli di negoziato, sottolinea, ancora una volta, quanto i processi e i negoziati di pace siano sempre più ostaggio degli interessi di potenze internazionali e regionali, a scapito di Istituzioni sovranazionali in grado di garantire il rispetto di regole e sicurezza comuni. Il rischio che la Libia diventi una nuova Siria non è poco e questa è una prospettiva che, a pochi chilometri dalle coste italiane, l’intera Europa non può permettersi. 

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