L’Egitto nella morsa della violenza

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La destituzione del Presidente Mohamed Morsi il 3 luglio scorso da parte dell’esercito ha portato a vive manifestazioni di protesta da parte della Fratellanza musulmana e dei suoi sostenitori nonché a una conseguente violenta repressione che ha lasciato sul terreno, in pochi giorni, centinaia di vittime. I tentativi di una mediazione internazionale per la ricerca di un compromesso o di un dialogo non hanno portato risultati e lo scontro tuttora in corso fra un esercito tornato al potere, con il sostegno dell’opposizione, della piazza laica e dei Fratelli musulmani ha creato una profonda linea di frattura nella popolazione egiziana, con ricadute che vanno ben oltre i confini dell’Egitto stesso. Una frattura che si tinge sempre più di odio e di violenza da ambo le parti e che, a giudicare dalle dichiarazioni sempre meno velate dei generali al potere, punta all’eliminazione politica della Fratellanza stessa. Una prospettiva che non solo comprometterebbe definitivamente quel percorso verso la democrazia e la convivenza civile che sembrava apparire agli inizi della Primavera egiziana nel lontano febbraio 2011, ma riporta l’Egitto a vecchi scenari di sessant’anni fa. E proprio mentre è in corso questa tormenta politica, fra nuovi arresti e nuovi processi, fra accuse sulla gestione del  potere da parte della Fratellanza e la sua deriva islamica e un ex Presidente destituito, detenuto, ma eletto malgrado tutto per la prima volta democraticamente, giunge la decisione della scarcerazione e della libertà provvisoria concessa all’ex rais Hosni Mubarak. Dovrà rispondere fra alcuni giorni della repressione e della morte di 900 persone che protestavano, sempre nel febbraio 2011, a Piazza Tahrir, proteste che portarono, nell’euforia, alla sua caduta.

Questa complicata e tragica situazione che vive oggi l’Egitto, vista la sua posizione geostrategica, il suo peso politico in Medio Oriente e il suo ruolo nei confronti di Israele, avrà evidentemente ripercussioni sull’intera regione e nei rapporti internazionali. In primo luogo, il braccio di ferro fra i militari e i Fratelli Musulmani, presenti questi ultimi in quasi tutti i Paesi della regione, potrebbe portare a una radicalizzazione del Movimento, liberando quelle forze estremiste meno inclini al dialogo e al compromesso politico, con tutte le conseguenze in termini di sicurezza e instabilità che ciò può comportare. Non sono mancate infatti in numerosi Paesi, in questi giorni di dura repressione, manifestazioni in favore della Fratellanza. Non solo, ma i cambiamenti politici interni all’Egitto stanno delineando nuovi rapporti regionali, basati non solo sulla linea di opposizione fra sunnismo e sciismo ma anche su posizioni pro o contro la Fratellanza: decisamente contro si sono schierati l’Arabia saudita, una monarchia integralista più vicina ai salafiti, il Kuwait e gli Emirati arabi, che hanno immediatamente offerto con generosità il loro sostegno finanziario al nuovo Governo egiziano ad interim. Preoccupata e di ferma condanna della presa di potere da parte dei militari è stata invece la posizione del Qatar nonché della Turchia, il cui Premier Erdogan e il suo Partito “Giustizia e Sviluppo” sono vicini ai Fratelli Musulmani. Senza dimenticare la Tunisia, guidata dal Partito Ennhada dei Fratelli Musulmani, anch’essa in preda a forti agitazioni e alla ricerca di un difficile equilibrio politico interno.

Una situazione quindi tutta in evoluzione sia in Egitto che nel resto della regione. Una situazione di fronte alla quale la comunità internazionale, Stati Uniti e Unione Europea in testa, hanno timidamente reagito in attesa di capire quali saranno i rapporti di forza che si delineeranno. Resta comunque il fatto che in Egitto, da quel 3 luglio ad oggi, è calato un pesante sipario sulle prove di dialogo e di civile convivenza che in tanti speravano portassero, con tutte le difficoltà del caso, a un percorso di democrazia.

 

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