La sfida di Lukashenko e la complicità di Putin

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Ai giorni nostri lo scenario sembra a dir poco inverosimile: un aereo civile in volo tra Atene e Vilnius, due città dell’Unione Europea, è stato dirottato da un aereo militare bielorusso ed obbligato ad atterrare a Minsk. L’obiettivo era quello di arrestare il giovane dissidente politico e giornalista Roman Protasevič, 26 anni, presente a bordo e accusato di terrorismo dal regime del Presidente Lukashenko. Con lui è stata arrestata anche la compagna Sofia Sapega, cittadina russa. 

Un atto di pirateria compiuto invece da uno Stato nei confronti di un suo cittadino residente nell’Unione Europea, nei confronti dei cittadini europei a bordo dell’aereo e presi in ostaggio e in ultima analisi, nei confronti della stessa Unione Europea. 

Il messaggio inviato da Lukashenko è chiaro: non tollererò nessun movimento di opposizione, andrò a cercare i dissidenti ovunque si trovino e a qualsiasi costo. Ora che l’aeroporto di Minsk è chiuso, il Paese è blindato e non esistono più vie di uscita verso l’Europa. Protasevič è stato arrestato, incolpato di gravi crimini e a rischio di pena di  morte.

Una situazione gravissima che ha fatto reagire l’Unione europea in modo unanime e con durezza: ulteriori sanzioni economiche, chiusura dello spazio aereo europeo alla compagnia bielorussa Belavia, richiesta ai voli comunitari di non sorvolare la Bielorussa e congelamento di 3 miliardi di Euro in aiuti finanziari destinati al Paese. Oltre naturalmente alla richiesta di liberare Protasevič e la sua compagna.

La situazione in Bielorussia è, da anni, in inquietante e discreto movimento. La rielezione del Presidente Lukashenko, considerato “l’ultimo dittatore d’Europa”, nell’agosto del 2020, per la sesta volta e con il 79,23% dei voti, ha fatto definitivamente reagire la popolazione la quale, portando in strada il rifiuto di una tale vittoria ottenuta grazie all’esclusione di candidati dell’opposizione, ha dato il via ad una lotta duramente e severamente repressa. Si tratta infatti di una popolazione che chiede rispetto dei diritti, democrazia, lotta alla corruzione, costruzione di uno Stato di diritto e riforme economiche per migliori condizioni di vita. Richieste che non arrivano alle orecchie del dittatore, impegnato con determinazione a non perdere il potere, a prendere in ostaggio un’intera popolazione e a creare un clima di insicurezza all’interno e all’esterno del Paese.

A livello internazionale la vittoria di Lukashenko è stata riconosciuta, in particolare, dalla Russia e dalla Cina. L’Unione Europea ha invece giudicato falsi i risultati delle elezioni, appoggiando il diritto dei cittadini bielorussi “ad essere rappresentati da chi sceglieranno liberamente attraverso nuove elezioni inclusive, trasparenti e credibili”. Non solo, ma il Parlamento europeo, nello scorso ottobre, ha attribuito il Premio Sacharov per la libertà di pensiero “all’opposizione democratica” e all’intero popolo bielorusso.

Con l’incontro di questi giorni di Lukashenko con Putin a Mosca, la Bielorussia è entrata con maggiore protagonismo in un contesto geopolitico di relazioni fra la Russia e l’Unione europea già alquanto teso. La Russia non può abbandonare la Bielorussia e non può nemmeno accettare  che si avvicini  all’Europa, all’Occidente e alla NATO. Il suo “estero vicino”, uno dei punti cardinali della sua politica estera è già abbastanza instabile, a partire dall’Ucraina e dai Paesi del Caucaso. 

Un nuovo scenario internazionale quindi alle immediate frontiere orientali dell’UE, in quella zona che incrocia l’estero vicino della Russia e il Partenariato orientale dell’Europa. Una situazione che costringerà l’Europa a disegnare e ad attuare una nuova politica e nuove relazioni con la Russia. Ma per questo dovrà essere unita e parlare con una sola voce.

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