Nel 2018, 17 milioni di persone hanno abbandonato le loro abitazioni a causa di catastrofi naturali
Il Comitato economico e sociale europeo (Cese) si è recentemente occupato di coloro i quali si ritrovano ad abbandonare il proprio luogo di origine a causa di drammatiche condizioni ambientali che impediscono di continuare a vivere in quei territori. La protezione legale di queste persone è debole, poiché manca una definizione chiara del loro status, nonché di un organismo internazionale che vigili sui loro diritti.
L’audizione, svoltasi in formato digitale a causa della pandemia COVID-19, ha coinvolto non solo i membri del Cese, ma anche giuristi, accademici e rappresentanti di organizzazioni ambientaliste. Durante la riunione, sono stati riportati i dati dell’Internal Displacement Monitoring Centre, secondo i quali 17 dei 28 milioni di persone che hanno abbandonato le loro abitazioni nel 2018 lo hanno fatto a causa di catastrofi naturali. Tempeste, alluvioni, tifoni e uragani sono state le forze ambientali che hanno spinto alla migrazione la quasi totalità di queste donne e uomini.
Per ciò che riguarda l’elemento geografico, tali catastrofi si sono concentrate principalmente in Asia, soprattutto in Cina e nelle Filippine, ma anche nell’America del Nord, a Cuba e negli Stati Uniti. Va evidenziato come questi spostamenti non trovino le loro radici soltanto nei disastri stessi, ma altresì in un lento mutare degli scenari ambientali, scenari che impediscono la produzione agricola e che rendono pressoché impossibile la vita umana.
Il trend non sembra diminuire, al punto che si parla di oltre 20 milioni di rifugiati climatici per il 2019. Entro il 2050, oltre 200 milioni di persone potrebbero trovarsi in tale condizione: tuttavia, non è ancora stata fornita una definizione legale che ne descriva il loro status né tantomeno un quadro di garanzia dei loro diritti.
«L’assenza di una definizione accurata di ciò che rappresenta una persona sfollata a causa di fattori ambientali ha portato all’impossibilità di misurare esattamente il numero di flussi di sfollamento esistenti e potenziali,» ha affermato Isabel Borges, professoressa e ricercatrice presso la Norwegian Business School e l’Università di Oslo.
Mentre ci sono meccanismi legali sparsi che possono essere utilizzati per la protezione delle persone sfollate per motivi ambientali, vi è un vuoto legale quando si tratta della loro protezione internazionale. «Molti testi giuridici del diritto internazionale dei rifugiati, come la Convenzione sui rifugiati, non sono adatti ai rifugiati climatici o sono troppo focalizzati su una situazione in un particolare continente,» ha aggiunto Annabelle Roig-Granjon dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR).
L’Unione Europea si è espressa in materia con azioni legislative volte a prevenire le migrazioni ambientali, le quali potrebbero trovare nuova applicazione nella protezione degli sfollati ambientali. Bisogna, tuttavia, rimanere vigili ed evitare che il dibattito politico sfrutti migranti e rifugiati per argomentazioni razziste e xenofobe che ritraggono milioni di persone alla propria porta. «È estremamente importante considerare la migrazione per quello che è e attirare l’attenzione sui diritti degli sfollati,» ha concluso François Gemenne, direttore dell’Osservatorio Hugo dell’Università di Liegi, aggiungendo che altrimenti i Paesi hanno più probabilità di aumentare la sorveglianza alle frontiere che di essere attenti alla situazione degli sfollati.
Per approfondire: il comunicato del Comitato economico e sociale europeo