La Georgia in piazza, fra Russia e Europa

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La Georgia, piccolo Paese di 4 milioni di abitanti, incastonato nel Caucaso meridionale fra il Mar Nero e la maestosa catena montagnosa del Caucaso, ex Repubblica sovietica, si estende su quella linea che divide l’Europa dall’Asia. Popolazione fiera, dalle profonde radici culturali e dalla lunga storia sempre alla ricerca di libertà.

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, nel 1991, come altre Repubbliche ex sovietiche, la Georgia ritrova la sua indipendenza e inizia un difficile percorso politico fatto di difficoltà economiche e sociali, di difficile convivenza con regioni dalle aspirazioni separatiste, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, ma soprattutto di difficili rapporti con il grande vicino russo, orso ferito e in agguato. Non solo, ma la Georgia, vista la sua posizione geografica, rappresenta un punto di particolare interesse strategico per Mosca.

Il 2003 segna una prima data importante per questo piccolo Paese inquieto, anno in cui i giovani georgiani danno il via alla “Rivoluzione delle rose”, una rivoluzione che vuole segnare la distanza da un passato sovietico e da un Putin giunto da poco al potere e rivolgere lo sguardo verso l’Europa e i suoi valori. Per la prima volta a Tbilisi, insieme alle bandiere georgiane cominciano a sventolare anche le bandiere europee, in un abbraccio carico di speranza ma anche, come il seguito  dimostrerà, di sfide al potere di Mosca.

Non tardano infatti a manifestarsi i risvegli dei movimenti separatisti nelle regioni che il nuovo Governo della Rivoluzione intendeva riannettere alla Georgia e non tardano nemmeno a farsi sentire le reazioni di Mosca in favore e a sostegno di tali regioni. È il 2008, anno che segna  il primo intervento militare di Putin nel suo estero vicino, la prima avvisaglia di quella politica tenacemente perseguita e sfociata, ahimè, prima nel 2014 e poi nel 2022 nella guerra in Ucraina.

Per la Georgia è stata una guerra dagli esiti disastrosi, che si concluse con l’occupazione da parte delle truppe russe del 20% del territorio nazionale, con il riconoscimento da parte russa dell’indipendenza delle due regioni e, in questo ultimo periodo, con la prospettiva di un’annessione dell’Ossezia del Sud alla Federazione russa. 

È nel 2012 tuttavia che l’entusiasmo della Rivoluzione delle rose e delle sue prospettive europee si ferma di fronte all’arrivo al potere del partito “Sogno georgiano”, fondato dall’oligarca Bidzina Ivanishvili. Uomo potente, vicino al Cremlino, ha manovrato, spesso dietro le quinte, le sorti della Georgia, portando il Paese a inquietanti divisioni fra ambiguità governative, avvicinamento alla Russia e aspirazioni europeiste della popolazione. Un contesto che dura ormai da più di dodici anni e che potrebbe continuare dopo le prossime elezioni legislative che dovrebbero tenersi nel prossimo ottobre. Elezioni a rischio, senza dubbio sotto l’occhio di Mosca.

Le manifestazioni che si susseguono a Tbilisi da settimane a questa parte, rappresentano l’essenza di questa situazione della Georgia, in bilico appunto fra Russia e Europa. In gioco una legge che il Governo vorrebbe adottare, definita dall’opposizione “legge russa” volta ad imporre alle ong e alle associazioni di dichiararsi “agenti stranieri” quando il 20% dei loro finanziamenti proviene da una fonte straniera, con pesanti sanzioni per chi non si adegua. In Russia, una legge simile ha eliminato quasi tutte le organizzazioni della società civile e spento le loro voci per la democrazia. 

Una legge che i giovani georgiani non vogliono  e contro la quale, sostenuti dalla Presidente Salomé Zourabichvili, si battono, scendono in piazza e sfidano la  polizia. Guardano all’Europa e a quella promessa di adesione all’Unione che Bruxelles ha fatto loro nello scorso dicembre.

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