La festa triste dell’Europa

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La settimana scorsa era in programma, come ogni anno, la festa dell’Europa: il 9 maggio di sessantatre anni fa, cinque anni appena dopo la fine della seconda guerra mondiale, la “Dichiarazione Schuman” dava avvio alla straordinaria avventura del processo di integrazione europea. L’obiettivo era quello di consolidare la pace e ricostruire insieme un continente in macerie, materiali e, più ancora, umane.

Appena un anno dopo sarebbe nata la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) con sei Paesi fondatori, tra i quali l’Italia: avrebbero proseguito la loro strada con il Trattato di Roma del 1957 e raccolto via via attorno a sé oltre venti Paesi, fino ai 27 di oggi col 28°, la Croazia, che ci raggiungerà il 1° luglio prossimo.

È probabile che i Padri fondatori non si aspettassero tanto, almeno per il numero dei Paesi associati, vista anche la profonda divisione dell’Europa del dopo-guerra.

Si aspettavano però di più per la costruzione di una comunità coesa, capace di ritrovare il valore della giustizia e della solidarietà e di lasciarsi per sempre alle spalle egoismi nazionali e i conflitti che ne derivano.

Purtroppo non è andata così o, almeno non ancora, in questa Europa ferita dalla crisi e dal ritorno di vecchi nazionalismi, quando non di movimenti xenofobi.

Così non stupisce il mancato clima di festa nei giorni scorsi, come non sorprendono le reazioni verso l’UE dei cittadini europei.

I sondaggi, diffusi nei giorni scorsi, pure depurati dai frequenti margini di errore e dalle ansie generate dalla crisi in corso, meritano riflessione, con l’obiettivo non di piangerci addosso, ma di  ritrovare al più presto una via d’uscita dal tunnel del pessimismo e riprendere il cammino verso la nuova Europa da ricostruire.

Certo non incoraggia scoprire che appena il 52% degli europei ritiene un’opportunità appartenere all’UE; peggio ancora, ritengono sia uno svantaggio il 63% degli inglesi, il 57% dei tedeschi e il 52% degli italiani. Con motivazioni diverse: i primi per il loro attaccamento alla pretesa sovranità dell’isola, i tedeschi per il timore di dover pagare per i Paesi lassisti e gli italiani perché si sentono strangolati dalle politiche europee di austerità.

Se poi si cerca di interpretare gli atteggiamenti degli europei su tendenze di lunga durata, si scopre che dal 2007 a oggi è crollata l’immagine dell’UE (- 20%)  e la fiducia nei suoi confronti (- 17%), in particolare in Paesi come la Spagna (- 41%) e Grecia e Portogallo (- 33%), tratteggiando chiaramente una linea di rottura con i Paesi dell’Europa meridionale.

Molte di queste dinamiche sono riferibili alla crisi, ma non soltanto. Pesa anche la percezione degradata nei confronti della mondializzazione dell’economia, in particolare nei Paesi UE più deboli, accompagnata da un mutato atteggiamento nei confronti dell’allargamento dell’UE, che registra ormai un’opposizione del 52% dei cittadini europei, sempre più tentati di ripiegarsi sul livello nazionale, cercando di trovarvi uno scudo protettivo ai loro problemi e alle loro paure.

In questa situazione che cosa chiedono all’UE i cittadini europei?

Innanzitutto vogliono azioni concrete, in particolare nella lotta contro l’esclusione sociale (53%).

Se lo aspettano prima di tutto dall’UE (23%), seguita a ruota dai loro governi nazionali (20%), molto di più che non da altri attori internazionali come il G20 (14%), il Fondo monetario internazionale (13%) e gli USA (8%).

C’è da sperare che tutti in Europa, da Bruxelles a Francoforte, da Berlino a Roma, abbiano bene in mente questi numeri e le parole della “Dichiarazione Schuman”: “L’Europa si farà grazie a realizzazioni concrete, creando una solidarietà di fatto…perché quando l’Europa non è stata fatta, abbiamo avuto la guerra”.

Il Consiglio europeo di giugno potrebbe essere l’ultima occasione utile per cominciare a riconquistare la fiducia dei cittadini europei. Dopo, rischia di essere tardi.

 

1 COMMENTO

  1. A mio avviso, i due commenti di Isabella Alberti del 9 e 10 maggio si integrano e si completano.

    Se congiunti al richiamo di Franco Chittolina su “La festa triste dell’Europa” – nei suoi 63 anni dalla “Dichiarazione di Schuman” – dovremmo convenire ancor più con il favorire e praticare ogni azione – da condividere – ad ogni livello sia di impegno privato che pubblico.

    Vale a dire : ogni giorno – nell’azione individuale e in associazione sindacale, volontaria o di partito, tanto nei luoghi di lavoro quanto nelle nostre comunità – dovremmo sempre – con “proposte su cose concrete” – mirare a ridurre ingiustizie e disuguaglianze sociali; a contrastare egoismi e promuovere solidarietà, da nord a sud del nostro Paese e tra i 28 Paesi dell’Unione Europea, dal primo luglio 2013, con la Croazia.

    Essenzialmente, quali cittadini italiani, tanto nel parlare che nell’operare a dimensione europea.

    Per avviare, non con lusinghiere e vuote parole, una concreta e graduale crescita, creando reddito da lavoro produttivo e non di sopravvivenza previdenziale/statale.
    In presenza, peraltro, di povertà sofferte da milioni di cittadini italiani/europei che attendono lavoro.

    Il Italia il primo semestre 2013 – come già noto – è misurabile dalle difficoltà del momento politico e istituzionale con le “sopravvivenze” a fronte di una “questione sociale” che necessita di “più Europa coraggiosa” nell’allentare i “PIANI DI AUSTERITA'” che ad oggi non hanno favorito e né risposto alle domande di crescita e alle migliaia di offerte di lavoro.

    Tali “pianificazioni” – purtroppo – hanno contribuito e aggiunto pesantezze e recessioni, non solo nel nostro Paese, con 178 mila lavoratori in cassa integrazione che rischiano di non rientrare a lavoro.

    Inoltre – da gennaio-aprile 2013 – risulta in aumento del + 31,48% la integrazione ordinaria e del + 63.4% quella straordinaria INPS rispetto al quadrimestre 2012.
    Per la cassa integrazione in deroga, pur risultando ridotta del -54,41% rispetto al 2012, le 50,5 milioni di ore autorizzate dalle Regioni attendono, dal Governo, l’adeguata garanzia di finanziamento.

    Sono queste le motivate e vitali “tristezze” – vere e diffuse.
    Triste disagio sociale che persiste.

    A mio avviso, ogni disagio umano è superabile se, responsabilmente e solidalmente, ci offriamo all’ascolto, alla condivisione e all’azione – dichiarata e decisiva di disponibilità:
    per “realizzare concretezze” e per concorrere a costruire, giorno dopo giorno, quell’avvento politico-sociale-economico,coeso e condiviso, riconoscendoci nella “diversificata cittadinanza europea” da festeggiare – perseverando – sia con “l’inno alla gioia” in musica che tra cittadini degli Stati Uniti d’Europa.
    Donato Galeone

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