Ci eravamo abituati, negli anni, ad un assetto istituzionale dell’Unione Europea articolato su quattro pilastri: la Commissione Europea, titolare dell’iniziativa in favore dell’integrazione e responsabile della gestione delle politiche UE; il Parlamento Europeo, organo co-legislatore; il Consiglio, riunione dei governi nazionali e organo decisionale e la Corte di Giustizia, chiamata a vigilare sul rispetto delle normative europee.
Dai primi Trattati degli anni ’50, l’architettura istituzionale è rimasta stabile, pur registrando cambiamenti significativi per alcune delle quattro Istituzioni e per i loro rapporti reciproci. In particolare si è progressivamente andato accrescendo il potere del Parlamento Europeo, anche se costantemente bilanciato dal ruolo decisionale del Consiglio, soprattutto di quello che riunisce i Capi di Stato e di Governo al quale è affidato l’impulso politico e la ricerca del consenso sui principali nodi della politica europea.
C’è voluta la crisi finanziaria di questi ultimi anni per portare alla nostra attenzione una più giovane Istituzione: la Banca Centrale Europea (BCE) che dal 1999, dalla sua sede di Francoforte, ha assunto il compito di vegliare sull’euro per preservarne il potere di acquisto, mantenere la stabilità dei prezzi nell’eurozona e, insieme con le Banche centrali nazionali, sostenere “le politiche economiche generali nella Comunità al fine di contribuire alla realizzazione dei suoi obiettivi”.
Negli ultimi mesi la BCE ha di fatto accresciuto il suo ruolo e anche sorpreso per alcuni suoi interventi a sostegno dei Paesi con alti debiti sovrani. Più di un osservatore, pur apprezzando questi interventi si è interrogato sulla loro pertinenza rispetto ai compiti statutari della BCE e sulla compatibilità con le posizioni di alcune Banche centrali nazionali, prima fra tutte quella tedesca.
In questi ultimi giorni, dopo il ruolo discreto ma decisivo già svolto dalla BCE in occasione del Consiglio europeo di fine giugno, si è assistito a dinamiche inattese da parte dei principali governi dell’UE nei confronti del crescente protagonismo di Francoforte. Che a sostegno della BCE sia corsa la Spagna in difficoltà non sorprende, che lo abbia fatto Mario Monti con la proposta di uno scudo anti-spread per avere munizioni pronte contro la speculazione estiva era parte di un disegno maturato nel tempo, nel quadro di una concertazione con la Francia di Hollande e la Cancelliera Merkel e che lo abbia fatto il Presidente francese si spiega facilmente con il ruolo che in Francia l’esecutivo esercita tradizionalmente nei confronti della propria Banca Centrale.
Più sorprendente l’apertura della Merkel e del suo ministro delle Finanze – in contrasto tuttavia con il collega ministro dell’Economia – in favore di ulteriori interventi della BCE in difesa dell’euro, seguita dal governo austriaco, in attesa che si allinei il resto del quartetto “rigorista”, con Finlandia e Olanda. Più improbabile che allenti la sua presa la Bundesbank, la Banca Centrale Tedesca, principale azionista della BCE e da sempre ossessionata dall’indipendenza delle Banche Centrali e fieramente in disaccordo con il governo tedesco. Tensioni che annunciano giorni ancora difficili per un fronte europeo compatto in difesa dell’euro, al punto che in sua difesa scendono in campo gli USA con il loro ministro del tesoro e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), preoccupato per la crisi globale che potrebbe scatenare la dissoluzione dell’euro.
È presto per dire come andrà a finire il duello in corso, ma una cosa è chiara: dopo mesi di incertezze e di divisioni, una voce si è alzata chiara in difesa dell’euro, quella della BCE e del suo Presidente, Mario Draghi. Sarebbe finalmente una buona notizia, se non fosse che è una voce levatasi nel deserto e nell’incertezza della politica, in una stagione segnata dalla fragilità delle nostre democrazie, costrette a ricorrere alle supplenze di tecnici, anche esperti, ma in difficoltà a governare, privi come sono di un mandato popolare.
Per concludere provvisoriamente: meno male che la BCE c’è; meglio ancora se la politica non tarda troppo a rigenerarsi e a farsi sentire, tanto in Italia che in Europa.