àˆ sempre difficile fare previsioni, soprattutto se riguardano il futuro. Figuriamoci poi se si riferiscono ad una stagione del mondo che procede con forti accelerazioni e molti imprevisti. E tuttavia per chi non rinuncia ad impegnarsi nella società in cui vive, guardare al futuro è essenziale perchà© quello è il territorio della speranza e di lì comunque bisogna passare. Il decennio appena terminato ci ha consegnato un mondo vittima di una grave crisi economica e percorso da una molteplicità di conflitti con il risultato di una crescente tensione nella convivenza tra popoli e culture quale noi vediamo esprimersi, tra l’altro, sul fronte sempre caldo del fenomeno migratorio. L’anno appena iniziato continua a registrare il perdurare della crisi economica e gli annunci di una ripresa nel 2010 sono temperati da aggettivi quali: debole, fragile, discontinua.
Tutti perಠconvengono, senza troppi aggettivi, sulla crisi occupazionale che continuerà ancora per tutto l’anno e anche oltre. Questa crisi, nata dai disastri della finanza selvaggia degli ultimi anni del decennio scorso e trasformatasi rapidamente in una crisi economica mondiale sta soltanto adesso mostrando i suoi frutti velenosi per chi non aveva interesse alcuno nei giochi disinvolti della finanza ma viveva solo del proprio lavoro che adesso gli viene sottratto.
Siamo qui di fronte ad un problema grave e oscurato da una propaganda politica che, dopo aver negato la realtà della crisi fino a qualificarla «psicologica», adesso non esita a truccare le carte per far dire alle statistiche che la situazione non è poi così drammatica e che altrove è anche peggio che in Italia. Accade così, da noi, che il ministro Sacconi tenti di correggere il governatore Draghi sulla consistenza della disoccupazione non facendo figurare i cassintegrati tra coloro che non hanno lavoro. E invece basta avere gli occhi per vedere che la disoccupazione c’è e cresce – si pensi anche solo alla Fiat – e che le condizioni di lavoro peggiorano ovunque con dinamiche salariali spesso sotto la soglia della decenza.
Ma più indecente ancora è speculare su questa situazione di insicurezza e dare fiato alla paura, incitando i poveri che molti tra noi stanno diventando contro i poveri da sempre che arrivano da noi a cercare lavoro e mezzi per sopravvivere. I fatti di Castel Volturno prima, di Rosarno poi, e tutti quelli che ancora accadranno, ci dicono ormai chiaramente che stiamo andando dritti verso scontri e discriminazioni: per certe forze politiche un giacimento di voti da sfruttare, non importa se alla fine si manda all’aria quello che resta di convivenza civile in questo Paese.
Ma anche fuori da questo Paese si registrano segnali inquietanti: nella vicina Francia che, in nome della laicità , si avvia a proibire il «velo» mussulmano, dando spunti alle nostre Carfagne e C. che risponderanno con la difesa del «crocifisso» e una Chiesa che stenta a capire l’insidia e tarda a rispondere adeguatamente. Si parla tanto dell’atteggiamento di Pio XII verso gli ebrei nella «shoah», sarebbe già anche il caso di interrogarsi di quanto dirà il tribunale della storia sui nostri comportamenti di oggi.
L’Europa resiste a stento all’intolleranza che cresce dentro e fuori dai suoi confini e le maggioranze politiche di centro-destra che prevalgono quasi ovunque non sembrano particolarmente attive sul fronte della difesa dei diritti e, in alcuni casi come nell’Italia delle leggi «ad personam», dello stesso Stato di diritto.
Ad inizio anno è entrato in vigore, dopo anni di paralisi istituzionale, il Trattato di Lisbona: contiene dispositivi che potrebbero rilanciare una nuova dinamica europea, non solo economica, ma anche politica e sociale. Staremo a vedere, anche se i primi segnali non sono incoraggianti e le derive nazionalistiche tenaci.
I Paesi che più contano – e l’Italia in questa lista non appare – si muovono in ordine sperso: Merkel in Germania ha forti difficoltà interne, Sarkozy in Francia gioca a fare «l’uomo solo al comando», Brown nel Regno Unito rischia di avere i giorni contati e Zapatero in Spagna – in questi mesi alla guida dell’UE – deve fare i conti con una crisi sociale senza precedenti dall’uscita dal franchismo.
Intanto l’Europa continua a contare poco al di fuori delle sue frontiere, talvolta nonostante la sua buona volontà : è accaduto al Vertice ONU sull’ambiente di Copenhagen a dicembre, continua ad accadere sul fronte mediorientale che si tratti del conflitto israelo-palestinese o della bomba a orologeria dell’Iran, e non solo quella nucleare ma anche quella del crescente dissenso interno al Paese.
Nel conflitto afghano – che proietta pericolosamente le sue ombre sul Pakistan – i Paesi europei si muovono al traino degli USA, dove non sembra che Obama stia innovando molto alla ricerca di una soluzione politica di quel conflitto.
E se a tutto questo si aggiunge lo spazio che sta guadagnando nel mondo la Cina (la sua crescita si annuncia almeno dieci volte la nostra), già proprietaria di un pezzo consistente del debito pubblico degli USA e di una parte crescente delle immense risorse in materie prime dell’Africa, allora il quadro si fa anche più complesso e problematico.
Altrochà© i rozzi slogan dei partiti all’insegna di «padroni a casa nostra», che su questo fanno shopping elettorale raccontandoci balle per rassicurare noi, cacciare gli «altri» e comandare loro: vivono in un mondo che non esiste più, se mai è esistito, e ci portano a tempi bui che non vogliamo rivivere.
àˆ ora di fermarli e risalire la china: che sarà lunga e difficile, ma è anche il senso della nostra speranza nell’anno appena iniziato.