l’Europa che verrà   dopo il referendum francese

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L’esito del referendum francese, anche per chi lo sperava diverso, non è stato una grande sorpresa. Troppi fattori, molti dei quali impropri, congiuravano nella direzione del NO a cominciare da una somma algebrica politicamente mostruosa tra i fautori di un rifiuto da destra per un eccesso di Europa e da una parte della sinistra per chiedere più Europa e più Europa sociale. Una ricorrente vocazione alla divisione e al suicidio della sinistra ha contribuito alla vittoria della destra e alla sconfitta almeno temporanea, del progetto di un’Europa politica senza la quale non vi sarà   non solo un’Europa sociale ma nemmeno un’Europa economica. E con i tempi che corrono è una disgrazia che si poteva e si doveva evitare. Ma oggi il risultato è questo ed è bene non sottovalutarlo. Intanto perchà© è il frutto di una larga partecipazione popolare che fa onore alla democrazia e perchà© il differenziale tra i NO e i SI’ non lascia spazio a dubbi. Se a questo si aggiunge che viene da un Paese fondatore e motore dell’Unione, il quadro è completo:non resta che prenderne atto e interrogarsi su quale sarà   il futuro dell’Unione. Perchà© il futuro dell’Unione è fuori discussione, con o senza l’attuale Trattato costituzionale bocciato dai francesi, ma già   ratificato da nove Stati membri tra i quali due altri Paesi fondatori, l’Italia e la Germania. Ma è anche probabile che sarà   un futuro diverso da quello che ci eravamo immaginato fino a ieri, quello di un’estensione del progetto federale delineato un po’ sotto traccia dai Padri fondatori ma finito probabilmente sotto le macerie del Muro di Berlino nel 1989 senza che nel frattempo se ne elaborasse un altro adatto alla stagione più complessa che viviamo attualmente.
E adesso che cosa capiterà  ? si chiede da più parti. Proviamo a rispondere con ordine. Il mondo continuerà   a girare, la globalizzazione ad avanzare e per qualche tempo con ancora meno regole che ne limitino le derive distruttrici. La Francia si leccherà   le sue ferite interne (che sono profonde) e cercherà   non si sa come di rimediare al suo indebolimento sulla scena europea ed internazionale: un po’ se l’è cercata e noi non possiamo che rispettare la sua sovranità   e valutarne la reale efficacia. In Italia c’era una minoranza, tanto a destra che a sinistra, che non aspettava altro e che riproduce senza grande originalità   le contraddizioni francesi, ma anche chi già   non perde l’occasione per dichiarare morta la Costituzione o per chiedere che, già   che ci siamo, si riveda anche il Trattato di Maastricht. Senza contare ancor più meschini regolamenti di conti interni alle coalizioni così come avvenuto in Francia. Ma qui interessa capire soprattutto che cosa capiterà   all’Europa. E’ un esercizio difficile e ad alto rischio, ma che non si puಠevitare se si crede al futuro dell’Unione. Qualche elemento di risposta ci verrà   già   dal prossimo Consiglio europeo del 16 e 17 giugno prossimo che è facile prevedere travagliato e paralizzato su decisioni urgenti ed importanti come le risorse finanziarie da mettere a disposizione dell’Unione per il difficile periodo 2007-2013. Seguirà   con tutta probabilità   un periodo non breve di incertezza e di demoralizzazione un po’ come avvenne nel 1954 dopo la bocciatura -anche allora francese- della Comunità   europea della difesa: ci volle un anno per avviare il rilancio con la Conferenza di Messina e altri due anni per adottare il Trattato di Roma del 1957. Ma allora tutto, si fa per dire, era più facile: la Comunità   era fatta solo di sei Paesi relativamente omogenei politicamente e con convergenti interessi economici. Oggi siamo in venticinque: difficile dire con quanti progetti di Europa diversi, con alle spalle storie non comparabili e differenziali economici e sociali di tutto rispetto. E allora che fare? Intanto continuare il processo di ratifica per rispettare i nove Paesi che già   hanno detto SI’, per non riconoscere nà© ora nà© domani un potere di veto ad un Paese, fosse pure la Francia, per stanare la Gran Bretagna che ha tutto interesse ad evitare un pronunciamento sulla Costituzione e, già   che siamo ormai in una partita di poker, «andare a vedere» come si posizionano gli altri quindici Paesi che mancano ancora all’appello. Ne risulterà   una radiografia del malessere dell’Europa magari dolorosa, ma essenziale per una terapia efficace. Se alla scadenza fissata del novembre 2006 più di cinque Paesi avranno detto NO dimenticheremo questo nuovo Trattato e si cercheranno nuove strade per fare, con chi ci sta, l’Unione politica. Quel giorno forse ricomincerà   il futuro dell’Europa, con un primo gruppo di Paesi che andrà   avanti sulla strada dell’integrazione, senza far fretta agli altri non ancora in condizione di seguire. Arriveranno anche loro, quando potranno e quando vorranno. Ma ci arriveranno,perchà© in questo mondo globale e squilibrato l’Unione è un progetto senza alternative. Ci vorrà   più tempo e proprio adesso che sarebbe stato urgente accelerare. Ma l’Europa è una lunga pazienza e non sarà   un voto di protesta a fermarla. A patto che da questo episodio sappia trarre le lezioni che si impongono.

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