Kazakistan, tra Russia, Cina e Europa

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Sembra così lontano, perso fra le steppe dell’Asia centrale, eppure quanto sta succedendo in  Kazakistan ci riguarda da vicino e riguarda l’Europa.

Indipendente dal 1991 con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il Kazakistan ha una superficie pari a quella dell’Europa occidentale, occupa una particolare posizione geografica che lo situa fra Russia e Cina e rappresenta un ponte naturale fra Europa e continente asiatico. Sotto questo aspetto, la sua politica estera è sempre stata quella di coltivare adeguate ed equilibrate relazioni non solo con gli importanti attori con cui condivide gran parte delle sue frontiere, ma anche con l’Occidente e con l’Unione Europea in particolare.

Il Paese, oltre alla forza della sua posizione geostrategica, indebolita tuttavia da una mancanza di sbocchi sul mare, possiede vaste riserve di idrocarburi e minerali (uranio, ferro, acciaio, rame), ricchezze che rappresentano non solo la spina dorsale della sua economia ma anche una strategia politica delle sue relazioni esterne. Per questo suo approccio, il Kazakistan era considerato un pilastro per la stabilità politica ed economica dell’Asia centrale, punto di passaggio strategico per l’ambizioso progetto della nuova via della seta di Pechino, alleato chiave e storico della Russia e importante partner economico dell’Unione Europea (principale partner commerciale e destinatario di quasi il 40% dell’export totale kazako, di cui l’80% costituito da gas e petrolio). 

Sul versante interno, la scena politica del Paese è stata dominata per più di trent’anni dal presidente Nursultan Nazarbaev, sostituito solo nel 2019 da Qasym Tokayev. Trent’anni e più di una continuità di potere che ha permesso solo ad  una piccola élite di beneficiare delle immense ricchezze del Paese, lasciando la maggior parte della popolazione in condizioni economicamente sempre più precarie e in una impasse politica immutata da troppi anni, senza prospettive di vere riforme.

Le violente rivolte scoppiate il 4 gennaio scorso ad Almaty per l’aumento del prezzo del GPL e subito allargatesi a tutto il Paese, nascono innanzitutto come proteste contro il costo della vita, proteste che hanno spesso segnato, a volte anche in modo drammatico, la recente storia del Paese. Questa volta tuttavia le rivolte non si fermano e puntano decisamente e apertamente il dito contro tutto il Governo e le sue Istituzioni. Il Governo ha risposto con grande violenza e già si contano decine di vittime e migliaia di feriti. Una situazione che sembra sfuggire di mano al Presidente, il quale ha definito i manifestanti “terroristi” e dichiarato il Paese “sotto attacco da parte di forze straniere”. Una dichiarazione volta a giustificare la richiesta di un intervento dell’alleanza militare regionale guidata da Mosca per fermare le pericolose proteste.

Putin non ha esitato a inviare i suoi militari per stabilizzare il Paese, cosa di cui ha fortemente bisogno. Una decisione che solleva alcune considerazioni: in primo luogo e malgrado l’equilibrismo politico del Kazakistan, l’appello a Mosca segna il ruolo della Russia come attore fondamentale nell’area post-sovietica. Nello stesso tempo, Putin si ritrova tuttavia a gestire uno spazio non privo di instabilità, a partire dalla Bielorussia, dall’Ucraina, dal Caucaso e ora nel Kazakistan, un’instabilità che potrebbe, in futuro, coinvolgere direttamente anche la Russia. Tutto questo in un momento in cui lo stesso Putin sta premendo militarmente sulle frontiere dell’Ucraina per negoziare con gli Stati Uniti e la NATO la sicurezza della Russia e il futuro nel suo ”estero vicino”.

1 COMMENTO

  1. Cara Adriana,
    ho bisogno di un chiarimento. Nell’ultima riga del tuo pezzo citi i negoziati NATO – RUSSIA.
    Non conosco il livello di autonomia della NATO, ma mi chiedo se a trattare con la Russia, a livello del Ministro degli Esteri, non dovrebbe essere l’Unione Europea (l’alto Rappresentante). La Nato in quanto alleanza militare non dovrebbe essere subordinata ai rappresentanti politici?
    Su un tema così delicato (si scrive pace, ma si legge guerra) come può sparire la rappresentanza politica dell’UE?

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