Kabul e i giorni che verranno

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Ancora sotto choc per il tragico epilogo dell’evacuazione e del ritiro da Kabul degli Stati Uniti e dalle altre forze della NATO per il sanguinoso attentato terroristico all’aeroporto, la comunità internazionale si interroga sulle conseguenze geopolitiche e sugli scenari futuri nella regione.

Un ritiro catastrofico, deciso da Washington senza praticamente consultazione e condivisione con gli alleati della NATO, trascinati, questi ultimi, in una decisione dalle conseguenze oggi ben visibili ma indecifrabili per il futuro; una popolazione lasciata nelle mani dei talebani e della sharia, la legge islamica, che mette in particolare difficoltà le donne; un ISIS-K (Stato islamico del Khorasan) che ha fatto violentemente sentire la sua voce e la sua ferocia nel momento più emblematico, all’incrocio fra la presa di potere dei talebani e la partenza convulsa delle forze occidentali, un primo attacco terroristico che ne annuncia altri e al quale gli Stati Uniti hanno già militarmente risposto ed infine un paese economicamente dipendente dall’aiuto esterno e contemporaneamente segnato dalla produzione di oppio e droga.

È in questo scenario che nascono i grandi quesiti per il futuro  e sul quale si concentrano tutte le difficoltà di una risposta adeguata e condivisa della comunità internazionale. Difficoltà ben visibili che si ritrovano in particolare sul tavolo della Presidenza italiana del G20, impegnata ad organizzare un Vertice straordinario sull’Afghanistan nei prossimi giorni con il coinvolgimento del maggior numero di attori possibile, in particolare Russia, Cina ma anche Arabia Saudita e Turchia che già hanno un rapporto e un dialogo in corso con i talebani. Un approccio che mira a impegnare altre forze oltre a quelle occidentali, uscite abbastanza malridotte dopo vent’anni di presenza nel Paese. 

Una sfida per il nostro Paese non da poco, se si tiene conto di quanto divergenti siano gli interessi e la competizione nella regione dei vari attori, interessi che si incrociano a vari livelli, da quello economico a quello del controllo della regione, da quello dei flussi  migratori a quello della stabilità del Paese e della lotta contro il terrorismo, senza dimenticare la futura transizione politica “inclusiva” che si prospetta irta di difficoltà.

Non solo, ma la tragedia afghana rende più che urgente e indispensabile ormai una riflessione sul ruolo della NATO, sulla sua missione, sul suo funzionamento e sul rapporto fra i suoi membri, una riflessione che porti coraggiosamente anche sulla garanzia della nostra sicurezza europea e verso la definizione di una politica europea della difesa responsabile e con sensibili gradi di autonomia rispetto alle  decisioni politiche degli Stati Uniti.  

Significative al riguardo le dichiarazioni del Presidente francese Macron alla Conferenza di Baghdad di questi giorni, volta a delineare una nuova cooperazione regionale e un nuovo dialogo per la soluzione dei conflitti nella regione, con la presenza inusuale di storici rivali quali l’Arabia Saudita e l’Iran. Sull’onda d’urto proveniente da Kabul, Macron non ha esitato a riaffermare la presenza francese in Iraq nella lotta al terrorismo e all’Isis, indipendentemente dal ritiro o meno delle forze statunitensi previsto per fine anno. Può sembrare un impegno limitato, ma che rivela, insieme ai tentativi fatti con il Qatar per creare corridori umanitari ed evacuare civili afghani in pericolo, una possibile altra via per segnare in modo diverso e responsabile la presenza europea nella soluzione dei conflitti. 

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